PROLOGO
Scena prima
(Coro di Schiavi, Roma. Roma, sopra un trofeo di
spoglie circondata da diversi Schiavi, dopo aver
sentito le lodi del serenissimo principe Alessandro
Carlo di Polonia, il giubilo comune per la venuta di s.
altezza, risolve di rappresentarle i casi di S. Alessio,
quale tra i suoi cittadini fu non meno conspicuo nella
gloria della santità, di quello che fossero molti nel
valore dell'armi. E per accennare, come ella stima più
d'ogni altro dominio l'esser regina de' cuori, ordina che
i medesimi Schiavi rimangano liberi dalle catene. Nello
sparire della tenda si scopre Roma in un teatro sopra
un foglio fabricato d'armi e d'insegne diverse. A piedi
d'essa un coro di Schiavi, che cantano i versi seguenti)
CORO DI SCHIAVI
Chiaro giorno, lieta sorte,
ecco n'adduce.
Nuova luce oggi splende
al Tebro intorno.
D'onor lampi e lumi egregi
d'Alessandro sono i pregi
che diffonde in ogni lido
eccels'il nome
e glorioso il grido...
Ritornello Strumentale
(Questo ritornello si replica fino che Roma
discende dal trono e comincia a cantare)
ROMA
Roma son io, ch'il soglio
di trionfi e di prede
omai sul Campidoglio.
Quella son io,
che già calcai col piede
de' miei famosi eroi
i campi mauritani, e i lidi eoi.
Ritornello Strumentale
ROMA
Né fur solo i miei figli
chiari nelle contese
dell'armi e de' perigli.
Ma molti han compiuto
vie più chiare imprese
dietro all'orme di Cristo
per di più stabil regno
eterno acquisto.
Ritornello
ROMA
Tra quei, che per cotanto
valore il cielo accoglie,
suona d'Alessio il vanto.
Ché, se celato entr'alle patrie soglie
sì stè vile e dimesso,
quanto ignoto ad altrui,
noto a sé stesso.
Ritornello
ROMA
Presso alle pompe, agl'agi,
sprezzò ciò ch'altri apprezza
ne' fastosi palagi,e ne lasciò l'invitta sua fermezza,
ond'altri esempi e rari
d'umiltà, di costanza il mondo impari.
Ritornello
ROMA
Oggi su queste scene
con musici concenti
lo riporta Hippocrene:
e de' congiunti suoi
gl'aspri lamenti
faran, con meste note,
ch'alcun bagni di lacrime le gote.
Ritornello
ROMA
Il non mostrar pietade
all'altrui gran dolore
sarebbe crudeltade.
Dunque se qui tra voi
si trova un core
cui pianger non aggrada
omai cangi pensiero,
o lungi vada.
Ritornello
ROMA
Ma, se tanto son vaga
mostrar in mille modi
la pietà che m'appaga,
sciolgansi pur delle catene i nodi,
ché vogl'io, non severo,
solo ne' petti
un mansueto impero.
Ritornello
CORO DI SCHIAVI
Già fastosa guerriera,
donasti i nostri petti.
Or dedicato a Cristo,
spiegando della croce il gran vessillo.
Con impero tranquillo,
vincitrice adorata a lieti voti
reina sei de' nostri cor devoti.
ATTO I
Scena Prima
(Eufemiano, senator romano e padre di S. Alessio,
incontratosi con Adrasto cavaliere romano,
nuovamente venuto dalla guerra, si rallegra del
suo ritorno; ed entrando a discorrere dei casi di
Alessio, piglia occasione di raccontarli la partenza
di lui seguita molti anni prima; e mentre si querela
di tale avversità, è con particolare affetto compatito
e consolato da Adrasto)
EUFEMIANO
Dopo tanti anni al fine
pur tu ritorni, Adrasto,
e nel patrio confine
riponi il piè con generoso fasto.
Di mille palme e di trionfi altero
felice al fin tu riedi,
onde festoso oggi il mio cor t'accoglie;
così 'l ciel sia propizio alle tue voglie.
ADRASTO
Questi segni d'affetto e questi voti
merita l'amor mio; quindi è ch'io provo
nel rivederti il mio gioir maggiore.
Ma pur insieme in me si turba il petto
poiché teco non trovo,
per mio destin crudele,
Alessio tuo diletto
tra miei fidi compagni il più fedele.
EUFEMIANO
Acerba rimembranza.
Il ciel non vuole
ch'io consoli i miei danni
sul tramontar degli anni
con l'amata mia prole.
Così le mie sventure io piango
e solo io chieggio à tutte l'hore
che se termin’ al duolo
altro non è prescritto
dia la morte rimedio al mio dolore.
ADRASTO
A generoso core
Eufemiano invitto,
tra le miserie il suo valor non manca,
anzi più forza apprende
trà l'humane vicende.
E s'è pur ver che nelle doglie estreme
aura dolce di speme
le lagrime rasciuga e il cor rinfranca
non mai prenda conforto
la sollecita mente,
ché di speranza a te novelle io parto.
All'or ch'in oriente
nobil vaghezza d'armi il piè ritenne
di rincontrar m'avvenne
i servi tuoi fedeli,
che, non lasciando in ciò consiglio ad arte,
sollecitati cercare ove si celi
il tuo smarrito figlio in ogni parte.
Intesi poscia (e non sia vano il grido)
che da lontano lido
a rimirar la Palestina inteso
di santo zelo acceso
era là giunto un pellegrin devoto,
a cui largo sue grazie il cielo infonde.
Et era forse quegli Alessio ignoto?
Partito ei di repente,
il seguiro i tuoi messi
certo sperando, ov'egli a lor s'appressi
che ben tosto in quei liti
come sì caro al cielo, il ver m'additi.
Ma non più udito, e molto strano in vero
fu d'Alessio il pensiero.
Né comprender si può qual cura, o voglia,
a lontano sentiero
il richiamar dalla paterna soglia.
EUFEMIANO
E così appunto Adrasto,
il suo partir inopinato e nuovo
fu sol per mio martire.
Altra cagion del suo partir non trovo.
Era la notte, ahi notte a me fatale,
in cui sperai ch'ei rimanesse avvinto
con nodo maritale.
Quando egli (ah figlio) a dipartirsi accinto,
senza punto curar la data fede,
occulto trasse in altra parte il piede.
Né tra quell'ombre, al suo fuggir feconde,
discoprir lo poteo
la face d'Imeneo.
ADRASTO
O degno di pietà, padre dolente!
EUFEMIANO
Lasso, da indi in poi la notte e 'l giorno
risuonò l'Aventino ai miei dolori.
E nel partire e nel tornar del sole
la perduta mia prole
chiamai con voci languide e tremanti.
Il Tebro udì, pietoso de' miei pianti.
ADRASTO
Il non sapersi
in quale fortuna
Alessio or viva
accresce il male.
EUFEMIANO
Ah sapessi pur io, sapessi al meno,
qual duro sasso accoglie
entro al gelido seno
le sospirate spoglie!
Colà n'andrei, colà morrei felice.
Ma già sperar cotanto a me non lice.
Vuole il ciel ch'io sospiri in ogni loco
e sfoghi in ogni loco i miei lamenti,
stimando che sia poco s'è prescritta
una tomba a' miei tormenti.
ADRASTO
Il ciel pietoso i tuoi dolor consoli,
ché ben merta pietade
in tormento sì grave
la tua canuta etade,
dio ti darà conforto.
E spero ben ch'in breve
ei n'aprirà delle miserie il porto.
Scena Seconda
(Contemplando S. Alessio la vanità degli uomini e la
caducità delle cose mondane desidera di esser libero
dalla carcere del mondo e perciò ricorre a dio con
l'orazione)
SANT'ALESSIO
Sopra salde colonne erger, che vale
eccelse mura alle caduche spoglie,
se poca terra al fine in se n'accoglie?
O desir cieco, o vanità mortale,
o dal senso ingannati e dal diletto
lusingati desiri, io per me trovo
sotto alle patrie scale
angusto sì, ma placido ricetto.
Qui soggiornando i sensi,
a contemplar sovente il pensier muovo
del cielo i regni immensi.
E spero ben, che questa ov'io mi copro
sarà scala al Fattor, s'io ben l'adopro.
Arietta ad una voce
Se l'hore volano,
e seco involano
ciò ch'altri ha qui,
chi l'ali a me darà
tanto ch'all'alto polo
io prenda il volo,
e mi riposi là?
Sinfonia
Quei rai che splendono
qui l'alme offendono.
Né serban fé;
chi l'ali a me darà,
tanto ch'all'altro polo
io prenda il volo,
e mi riposi là?
Ritornello
Scena Terza
(Marzio e Curzio, paggi d'Eufemiano, col
vedere S. Alessio, stimato da loro un forestiero
mendico e per carità alloggiato in quel palazzo,
non lasciano di schernirlo ascoltati da S. Alessio
con umiltà e sofferenza)
Arietta a due voci
CURZIO, MARZIO
Poca voglia di far bene,
viver lieto, andar a spasso,
fresco e grasso mi mantiene.
La fatica m'è nemica.
E mentr'io vivo così,
è per me fest'ogni dì.
Di ri di ri di ri...
Vada il mondo come vuole.
Lascio andar, né mi molesto.
Tutto il resto son parole.
Pazzo è bene da catene
chi fastidio mai si dà
per saper quel che sarà.
Di ri, di ri, ecc.
CURZIO
Ma colà mesto e solitario io vedo
quel pellegrin, mendico,
ch'in questo albergo il mio signor mantiene;
e per quanto io vi credo,
per nostro gusto il tiene,
ch'ei quasi è mentecatto:
onora chi l'offende,
né s'altri lo disprezza a sdegno il prende.
Però qualunque volta in lui m'abbatto
or con opre il dileggio or con parole.
E quasi folle al par di lui divento,
perché ben dir si suole
ch'un matto ne fa cento.
MARZIO
(Ad Sant’Alessio)
Deh, qual mordace cura
t'offende, e per qual duolo
porti la fronte oscura,
onde qui te ne stai tacito e solo?
SANT'ALESSIO
Che altro far poss'io, vile e dimesso?
Io che son della terra inutil pondo,
di mille colpe impresso;
poi ch'altro non so far fuggo e m'ascondo.
CURZIO
Non trattiam di fuggire,
ché quella fuga sol gloria richiede
che si fa con la voce e non col piede.
MARZIO
Se vuoi mostrarti intrepido e sicuro,
odi che far dovresti.
Già si tocca, si tocca tamburo.
Andiam a pigliar soldo, agili e presti.
E con la piuma alteri,
tosto fatti guerrieri,
passeggiarem con maestade il campo.
SANT'ALESSIO
A che cercar in terra
di nuove guerre inciampo
se la vita mortale anch'essa è guerra?
CURZIO
Discorsi cotant'alti
io per me non intendo.
Ma molto ben comprendo
che da nemici assalti,
tu sei stato chiarito
però fuggì l'invito.
MARZIO
Costui, per dirne il vero,
alle parole, all'abito, al sembiante,
mi sembra un soldato,
che, già deposto il minacciar primiero
ritorni svaligiato.
CURZIO
Se vuoi parer valente altro bisogna.
Ma tu gloria non curi
o gran vergogna!
CURZIO, MARZIO
O gran vergogna!
MARZIO
Invero io te 'l confesso:
quand'io ti sono appresso,
sempre voglia mi viene
darti la turba, in fede mia, ma taccio.
CURZIO
Tu che sei sì codardo
con sollecito piè,
con umil guardo,
di qui sgombra e t'invola
e senza più tardar prendi altra via.
CURZIO, MARZIO
Vada, vossignoria.
Scena Quarta
(Coro di Demoni dentro alla scena. Un altro Coro,
che balla. Sollecitato il Demonio da i cori infernali,
che promettendo gran vittoria, fanno allegrezza con
balli si mette all'impresa di tentare e sedurre la
costanza del santo. Si muta la scena in un inferno
e nella lontananza si rappresentano le pene dei
dannati. Si canta l'aria che segue, e da un coro di
Demoni è accompagnata con diverse mutanze)
Aria
CORO DI DEMONI
Si disserrino
l'altre porte
della morte.
Su su su su.
S'atterrino
d'Alessio i pregi
alle prede, alle palme, ai vanti, ai fregi.
Più non durino
le bell'opre
ch'ei ne scopre,
se si oscurino
suoi fatti egregi.
Alle prede, ecc.
DEMONIO
Dalla notte profonda,
ove correndo il torbido Acheronte
unisce con terror la fiamma e l'onda,
pur oggi ergo la fronte
a' cenni mosso del tartareo duce,
mal mio grado a mirar l'aurata luce.
Ché se ben delle stelle
noi già dall'alto regno
fulminate cademmo, alme rubelle,
restando il vano ardir vinto e deluso,
non ancora però spento è lo sdegno;
ma anco il varco alle nostre armi è chiuso,
ben ch'ai segni di vita
aspiri l'uomo e la sua speme affissi.
Non è non è smarrita
la forza degli abissi
per ordir a suo danno
tradimento, rigor, forza ed inganno.
Ed ecco, or più d'ogni altro,
il suo pensier
rivolge Alessio ad onta pur di noi,
al celeste sentiero,
né de' congiunti suoi
omai ritrarre il ponno
i sospir con le lagrime interrotti,
ché senza cibo i giorni, e senza sonno
tragge intiere le notti.
O se tal ora ei posa il corpo lasso,
è sua morbida piuma un duro sasso.
Ma s'altro oggi non son da quel ch'io soglio,
rammollirò quel core
d'adamantino scoglio:
io, d'ogni frode autore,
spinto da fiero sdegno all'alta impresa,
non trarrò neghittoso i giorni e l'hore,
ma contra il duro petto,
movendo aspra contesa,
sotto mentito aspetto
celerò così l'arti,
che d'ogni frode adempirò le parti.
(Continuando a cantare dietro all'Inferno, i sopra detti
Demoni fanno una moresca con i tizzoni che portano in
mano)
Moresca e coro di Demoni
CORO DI DEMONI
Sdegno orribile alla luce
ne conduce.
Su, su, terribile l'abisso s'armi.
Alle pugne, alle stragi,
all'armi, all'armi.
S'hanno a prendere
di mille alme
liete palme.
Già già d'offendere
niun si risparmi.
Alle pugne, alle stragi,
all'armi, all'armi.
L'ombre tuonino, frema il lito di
Cocito,
sì, sì, risuonino
sol fieri carmi.
Alle pugne, alle stragi,
all'armi, all'armi.
Scena quinta
(La Madre e la Sposa di S. Alessio piangono l'assenza
di lui, consolate invano dalla Nutrice, per consiglio
della quale si volgono a pregare dio, ché lo prosperi
ovunque sia)
NUTRICE
Deh, raffrenate alquanto,
omai dopo tant'anni,
i vostri acerbi affanni.
A che, senz'alcun pro, struggervi in pianto?
Qual può sperar mercede
il sempre lagrimar per chi no 'l vede?
SPOSA
Lasciate pur ch'io pianga, omai, nutrice,
troppo misera sorte un petto preme,
cui nelle doglie estreme
pur lagrimar non lice.
MADRE
So ben anch'io che vane, o mai fedele,
all'aure sorde, a' venti
fuggono le querele.
E so, che nei lamenti,
ohimè, possiamo solo
l'una con l'altra accumulare il duolo.
Ma se il non udire
novella del mio figlio
rinnova ciascun giorno il mio martire,
come si può mai tranquillare il ciglio?
La notte ancor, che del riposo è madre,
si mostra a me, con larve e con portenti,
torbida e tempestosa,
orrida e spaventosa.
E per mandarne in bando ogni conforto,
o quante volte, o quante, agli occhi miei,
offre, in ben mille modi atroci e rei,
nel sonno Alessio, or moribondo, or morto?
Così, la notte il giorno,
mentre che molto bramo e nulla spero,
m'affligge il falso, e non m'appaga il vero.
SPOSA
Riporti Apollo, o pur nasconda il lume,
già le mie cure in me dormir non ponno,
e mi sembran le piume
spine pungenti ad involarmi il sonno,
ond'io co' miei pensier miseri e lassi,
con sospiri interrotti,
vò misurando i passi
delle tacite notti.
MARZIO
Or la cagion conosco
onde nasce ch'io dormo a tutte l'hore.
Allor ch'il sonno in questa casa arriva,
ognun lo scaccia fuori ed ei si mette
a far sol contro me le sue vendette.
SPOSA
Amara, infida notte,
s’all'afflitte mie luci,
tenendo sempre il mio bel sole ascoso,
le tenebre radduci.
Perché teco non porti il riposo?
MADRE
Se tu sentissi, Alessio, i miei tormenti,
so che pietà n'avresti.
Perciò, dovunque or sei,
in ciel, fra l'onde, o in terra,
potrai de' dolor miei
il numero mirar ch'ivi si serra,
ché tanti son, quante tu puoi mirare
stelle in ciel fronde in terra, arene in mare.
SPOSA
Perché privarmi, o dio, degli occhi tuoi?
MADRE
Come crudel abbandonar mi puoi?
SPOSA
Quanto, oh quanto fugace avesti, Alessio, il piè?
MADRE
Quanto, oh quanto fallace, fortuna, è la tua fé.
SPOSA
Teco sperai gioir, son senza te.
MADRE
Sperai d'esser felice, e piango ohimè.
SPOSA
Interrotti desiri sconsolate dolcezze.
MADRE
Eterni miei martiri, mie funeste amarezze.
MADRE, SPOSA
Oh, de' mortali antiveder fallace,
tant'il ben fugge più,
quanto più piace.
CURZIO
Ohimè, quel sospirar, quel pianger sempre,
è un pessimo esercizio,
ch'in esso il tempo, e l'opera si perde.
Ti manda in precipizio,
e in dieci giorni ti riduce al verde.
SPOSA
Io t'ho perduto, Alessio, e temo, ahi sorte,
temo, ch'il nodo adamantino e forte,
onde il mio cor già restò teco involto
abbia l'acerba morte
con empia man disciolto.
NUTRICE
Sian vani gl' auguri al core impressi,
giova all'afflitta mente
lo sperar sempre prosperi successi,
perché il bene sperar non sempre è vano.
MADRE
Chi di mortal miseria il calle preme
troppo ne va lontano
dal sentier della speme.
NUTRICE
In sì grave dolore,
voi, per l'amato pegno,
siasi pur morto o vivo,
al ciel volgete i vostri prieghi e 'l core,
che voleranno alle celesti sfere
con ali di pietà vostre preghiere.
(Coro di Domestici d'Eufemiano. Discorrendo sopra la
varietà de gli accidenti del mondo, ricorre alla divina
pietà per aiuto)
CORO DI DOMESTICI
Dovunque stassi,
dolce Gesù,
d'Alessio i passi
deh sorgi tu,
ché sempre piegasi
là dove pregasi
tua gran virtù.
Ritornello
Se pellegrino
errando va
piano il cammino
tu per lui fa.
Dovunque accolgasi,
dovunque volgasi,
trovi pietà.
Ritornello
Con miserabil sorte
ogni mortale, ovunque muova il piede,
rapida corre ad incontrar la morte,
ch'ogn’hor di nuove prede andar superba
e trionfar si vede.
Non è cittade o via
così remota, ove d'altere spoglie
su formidabil trono ella non sia.
Né tra riposte soglie
altri, celato, al suo furor si toglie.
Non è loco sì cinto di larghi fossi, impenetrabil mura,
che di morte al furor non resti vinto.
Indi a ragion natura
fa ch'ogni loco all'uom è sepoltura.
Nel periglioso campo,
in cui vive ciascun, sol quell'aita
ch'al ciel si chiede incontro a morte è scampo.
Dunque l'alta infinita
pietà l'ascolti e serbi Alessio in vita.
Scena Sesta
(Aggiunta per introduzione di un ballo. Trasferitosi
Curzio per diporto alle ville del suo Padrone, va
pensando di prepararvi alcuni trattenimenti, per
servirsene poi a scherno del Pellegrino; il disegno di
condurvi i Rustici di quelle selve porge occasione di
una danza piacevole. Si muta la scena in una selva)
CURZIO
La più bella che sia,
è la profession d'andare a spasso.
A me piace ben tanto in fede mia,
che quando trovo il tempo, no 'l lasso.
Ond'è che spesso in queste selve amene
vo fuggendo la scola,
ché, quando io sono in Roma,
non ho mai veramente ora di bene.
A pena posso dire una parola,
e bisogna, ch'io stia,
mentre sono a servir la mie padrone,
addolorato per conversazione.
Ma qui le cose in altro modo vanno,
ch'io vado a caccia, e sempre, che ci sono,
s'io non mi do bel tempo, sia mio danno.
Or che non saprei fare altro di buono,
i rustici vogl'io del mio padrone,
ch'ordischino una danza
conforme a loro usanza,
onde il romeo, ch'è pazzo afflitto ed egro,
diventi un pazzo allegro.
Diman poi vo' condurlo in questi boschi,
dove rider farollo a suo dispetto.
Or cominciate, amici,
qualche gentil mutanza;
e vi prometto,
ogni volta che a casa
mi verrete a vedere
menarvi al fonte, e farvi dar da bere.
Ballo
(Escono otto Contadini vestiti all'uso di quei tempi,
e si trattengono con un ballo composto di vari scherzi)
MARZIO
Già veggo, il tutto è lesto;
diman col pellegrin sarò qui presto.
Sinfonia
ATTO II
Scena prima
(Eufemiano, con imaginarsi la consolazione
de' parenti d'Adrasto nel suo ritorno, piange
la propria infelicità, per esser quasi senza
speranza di rivedere il figliolo)
EUFEMIANO
O te felice, o genitor d'Adrasto,
ch'oggi tra le tue soglie
la bramata tua prole alfin s'accoglie,
e rivolgendo il ciglio
al generoso figlio
gl’aspettati diletti alfin pur godi,
io sol di pene estreme
miserabile oggetto,
privo d'ogni mia speme,
solo riserbo alle miserie il petto.
Lasso, ma che stupore,
se mai tregua non sente il mio dolore?
Quello, quello son io,
che con empio destino
son fatto all'Aventino
esempio di tormento atroce e rio.
Quello, quello son io.
Dunque o mia pena acerba,
o mia doglia infinita,
toglietemi la vita.
In sì lungo martire
mi sia vita il morire.
Dunque, o mia pena acerba,
o mia doglia infinita,
toglietemi la vita.
Scena Seconda
(Accenna il Demonio d'aver ordito una trama, per la
quale spera che il santo sia costretto a scoprirsi ed a
tornare alle delizie del secolo)
DEMONIO
Propizia arride al mio desir la sorte,
ond'hò la trama agl'altrui danni ordita.
D'Alessio ho la consorte
persuasa alla fuga, e già le piante
accinge alla partita,
per ricercar il suo marito errante;
ond'ei sarà, per ritenerla, astretto
di palesarsi al fine.
Né soffrirà, ben che sia duro il petto,
ch'ella cerchi, vagando, altro confine.
E se bene a' miei sforzi ancor non cede
d'Alessio la costanza,
che con novello esempio ogn'altra eccede,
io già non più sento
in me con l'ardimento
vacillar la speranza.
Tenterò nuovi assalti e nuova guerra
ché combattuta rocca alfin s'atterra.
Scena terza
(Sposa in abito di pellegrina. Nutrice. La Sposa,
risoluta di andare cercando per il mondo il
perduto Alessio, comparisce in abito di pellegrina,
e mentre tra sé discorre di tal pensiero, è osservata
dalla nutrice, che senza scoprirsi a lei, ne porta
l'avviso alla Madre)
SPOSA
A dio, Tebro, a dio, colli,
o patria, a dio.
E voi, di questo albergo
mura dilette, a dio,
ché pur siete dilette,
quantunque entr'à voi solo
sia nota la cagion del mio duolo.
Bramai viver in voi, ma il ciel non volle,
onde m'accingo omai per far partita,
ché qui, senza il mio ben, senza il mio core,
aspra pena è la vita.
NUTRICE
Incauta giovinetta,
mal consigliata amante,
al dipartir s'affretta.
Ma poiché la sua fuga ho ben compresa,
già non permetterò sì vana impresa.
SPOSA
Ma dove a me sia duce il mio dolore?
Dove, l'amor, se l'uno e l'altro è cieco?
Ah, dove poss'io teco
trarre una volta, Alessio, i dì giocondi?
Dove, ah dove sei, dove t'ascondi?
A te rivolgo il piede.
Non sprezzar le mie fiamme e l'amor mio,
se poca è la beltà, molta è la fede.
A me, crudele, o dio,
tu così mal rispondi?
Dove, ah, dove sei, dove t'ascondi?
Forse desii cangiasti,
o volubile amante?
O, qual fronda incostante,
nuova beltà ti piacque, e la bramasti?
E forse per tuo vanto ora a lei narri
la mia fiamma schernita,
la mia fede tradita,
i miei dolor profondi?
Dove, deh, dove sei, dove t'ascondi?
NUTRICE
Devo scoprirmi o no? No, ché possenti
non sono i preghi miei
a temperare i suoi desiri ardenti.
Megl'è ch'io faccia noto il suo disegno
a chi ponga ritegno al core, al piede.
SPOSA
Ah, gioventù fallace,
spergiura è la tua fede.
Misera, a chi mai più creder poss'io?
Alessio fu mendace?
Lassa, dove trascorre il dolor mio?
Che parlo e che vaneggio?
Doler del mio destino,
Alessio mio, ma non di te mi deggio,
ché dentr'al ciel latino,
là dove ogni virtù risplender suole,
di virtù fosti, e d'innocenza un sole.
Ma che più tardo?
Scena Quarta
(Tenta indarno la Madre d'impedire il disegno della
Sposa: anzi, stimolata dall'esempio di un'amor grande,
si risolve d'imitarla, e di partirsi con lei. S. Alessio,
intesa tal novità, raccomandasi prima al divino aiuto,
cerca con varie ragioni di ritenerle dal destinato
cammino. La Sposa, posta in molta ambiguità, e
rinnovandosi in lei più che mai il dolore per l'assenza
del marito, si vien meno)
NUTRICE
Affretta il piè, ché troppo
nocerebbe l'indugio. Ecco già parte.
MADRE
Figlia, di queste luci a me più cara,
deh, dinne a me, quai voglie
ti fan cangiar le spoglie?
Forse a me nuovi danni il ciel prepara
con tua partenza amara;
e vuol che resti a lagrimar sol io?
SPOSA
Sallo il ciel, sallo amore,
che dall'amato albergo
forza mi trae, cui contradir non posso.
E dentro al cor commosso
io sento sprone acuto,
ch'il piede affretta;
e forse il ciel mi spira,
perch'io trovi il consorte,
o la mia pur congiunga alla sua morte.
No, no, più non potrei
menarne qui tra' miei tormenti amari
i giorni solitari.
Ah, non sia ritenuto
dal cercar il suo cor chi l'ha perduto.
SANT'ALESSIO
Che sento, o ciel, che veggio?
Ah non sia vero
ch'errante ella piè muova.
MADRE
O di stabile amor ben degna prova.
Non che riprovar possa il tuo pensiero,
voglio seguirlo anch'io.
Cangerò vesti, e teco
ratta verrò dovunque volga il sole
il luminoso aspetto,
ch'a ricercar la sospirata prole
non sia mai stanco il piede.
SPOSA
Ben son bastante io sola. Entro il mio petto
ho tal valor, che compagnia non chiede.
MADRE
Con ragioni o con preghi
di rimovermi, o figlia, invan procuri.
Se compagna al cammino esser mi neghi,
precorrer mi vedrai.
Andianne omai, ch'a secoli futuri
renderan forse questa età famosa
amor di genitrice, amor di sposa.
NUTRICE
Misera me, che posso far, che deggio?
Ogni consiglio in vano
omai per ritenerle esser m'avveggio.
Misero Eufemiano.
Di qual ruina acerba
nell'occaso degl'anni il ciel ti serba?
Deh s'impetrar può tanto,
non dirò questo pianto,
ma l'amor, ma la fede,
ch'in me provaste,
ah, ritenete alquanto
vostro rapido piede,
fin che sol pensiate
ove v'adduce
sconsigliato desire.
MADRE, SPOSA
A ritrovar Alessio, o per morire.
MARZIO
Alla prova le voglio:
il terzo giorno so
che faran ritorno.
Credono che le strade in ogni loco
sian lastricate e piane,
come le vie romane.
CURZIO
Oh, quanti mali passi!
Quanto v'è da salir,
quanto da scendere.
Vadan pur, senza invidia.
Troppo la mia
dalla lor mente è varia.
Non mi curo per me di mutar aria.
SANT'ALESSIO
Or non mi manchi il ciel di sua virtude.
Sì ch'io m'opponga a quel voler fallace,
che dentro all'alma loro il desir chiude.
(A la Madre e Sposa)
Già non prendete, eccelse donne, a sdegno,
s'io di parlarvi indegno,
oggi mi scopro a favellarvi audace.
Ché, se vostro disegno
pur come dianzi intesi,
è lungi andar dalla città di Marte,
cercando altri paesi,
io, che scorso del mondo ho sì gran parte,
ben posso come esperto
darvi consiglio, e farvi il vero aperto.
NUTRICE
Ascoltate per dio ciò, ch'ei favella,
ché sovente esser suole espresso il vero
in semplici parole.
SPOSA
Chiunque mi rappella
dal sentier destinato, a sdegno il piglio,
hé risoluto cor odia consiglio.
MADRE
Nelle pietose voci
di umil garzone
io provo al core
un non so che d'insolito e soave.
Ciò ch'ei n'accenna udir, deh, non sia grave.
CURZIO
Sì, sì ben è il sentirlo.
Ch'è tuttavia buon'ora,
né farà gran dimora.
MARZIO
E se ben fanno una fermata corta
giungeranno stasera a Prima Porta.
SANT'ALESSIO
M'è noto il dolor vostro, e noto insieme
m'è lo sperar, ch'a dipartirne invita.
Ma se giusto è il dolor, vana è la speme;
ché forse in parte incognita e romita
si cela Alessio, e quanto più il cercate,
più da lui vi scostate
e forse sì cangiato è nel sembiante,
ch'ancor se lo vedeste,
no 'l riconoscereste.
SPOSA
Ciò non tem'io, ché dove alberga amore,
quando ciechi son gl'occhi, è Argo il core.
SANT'ALESSIO
Gli alpestri monti, e i sassi
ritarderan sovente i molti passi.
MADRE
Animoso desire dona possanza
e fa lieve il martire.
SANT'ALESSIO
Chi per lungo sentier errar dispone
a ben mille perigli il petto espone.
SPOSA
A petto inerme e nudo
la virtù rocca e l'innocenza è scudo.
SANT'ALESSIO
Ma pur ne vieta incognite contrade
la legge d'honestade.
MADRE
In ogni loco è d'onestà ricetto
un generoso petto.
SANT'ALESSIO
Dovunque Alessio il senta, o voi ritrovi,
mai non sarà ch'il fuggir vostro approvi.
SPOSA
S'io lo voglio imitar, già non l'offendo.
Nella scola di lui la fuga apprendo.
Ma che parlo? Ah non sia ch'a suoi desiri
per me si contradica. Io, sento
ch'Alessio istesso ancor ch'a me lontano
par che mi parli al core e che mi dica:
«Resta nel tuo tormento,
resta, ch'a me non piace
il tuo partir fugace.»
Dunque, rimango, ahi lassa,
esempio d'aspra sorte,
vilipesa consorte.
E sol per non spiacerti a te non vegno.
Ma se riman la salma,
a cercarti vien l'alma,
ond'al tremante piè manca il sostegno:
già moro per Alessio, e già dal seno
sen fugge l'alma e il viver mio vien meno.
NUTRICE
Ah più non si sostiene e resta esangue,
e freddo gielo il suo vigore opprime.
Pur le palpita il cor, languido e lento
e la lingua dell'alma in fronte esprime
con voci di pietade il suo tormento.
MADRE
O mio dolore insano,
ben troppo lieve sei, se non m'uccidi.
Accorrete, miei fidi,
con le mediche cure a lei d'intorno,
onde se n' rieda ai languid'occhi il giorno.
MARZIO
Misero Marzio, ohimè tu sei spedito.
Che ti giova a costei l'aver servito,
c'è, s'ella muor senza testare avanti,
non ti lascia nemmeno un par di guanti?
Scena Quinta
(S. Alessio per il travaglio miserabile dei parenti,
agitato da diversi pensieri, considera tra se
medesimo se deve manifestarsi)
SANT'ALESSIO
Alessio, che farai?
Userai crudeltade
a chi come ben sai,
vuol il ciel, vuol il mondo,
che tu mostri pietade?
Che fò? devo scoprirmi, o pur m'ascondo?
Ah, silenzio crudele,
cagion d'aspre querele.
Io già me n' volo a far palese il tutto.
Fermo che sol chi giunge all'ultime hore
con immutabil core
delle fatiche sue raccoglie il frutto.
Tu, che tanto hai sofferto,
del ciel non curi più l'alta mercede?
Tu, che per dio cercar, fuggisti il mondo,
or per sentiero incerto
volgi di nuovo (ah folle) al mondo il piede?
Chi sì mal ti consiglia?
Ah, segui, segui il tuo cammin primiero.
Ma pur forza ripiglia
dolorosa pietà nel core impressa,
che mi richiama, ovunque il pensier muovo.
Pietade, omai deh cessa
di tormentarmi il seno. Ah, quale io provo
nel teatro del cor dura battaglia.
O dio clemente, il tuo favor mi vaglia.
Tu la palma a me serba,
ch'io già per me non basto
a sì fiero contrasto.
Né l'alma hò di diamante,
che veder possa in aspra doglia acerba
e la madre e la sposa a me d’avante.
Ma chi sarà costui,
che con luci serene
maestoso in sembiante a me ne viene?
Scena Sesta
(In questa varietà di pensieri viene incontrato dal
Demonio, il quale sotto abito di vecchio Eremita
procura con diverse ragioni d'indurre il Santo a
scoprirsi a' parenti. Egli però restando più confuso
che persuaso, non lascia di dubitare che sia illusione
dell'inferno, onde chiede a dio che in tanto bisogno
non l'abbandoni)
DEMONIO
Humil servo, ed indegno
del ciel son io, che da' riposti orrori
di lontane pendici
erme sì ma felici,
sol per giovarti, Alessio, a te ne vegno.
SANT'ALESSIO
Qual mia ventura, o quale,
dio di somma pietade,
da' solitari chiostri
pur' hoggi agl'occhi miei fa' che ti mostri?
DEMONIO
Dio messaggier mi manda.
Io la sua mente, Alessio, a te rivelo
perché di folle zelo
ripieno il core ardente;
per dio cercar da dio ne vai lontano,
onde tu soffri e t'affatichi invano.
Poiché, mentre dolente
la consorte abbandoni, a lui non piaci.
E qual legge t'insegna aspro e crudele
con promesse fallaci
ingannar nobil donna a te fedele?
E qual torbida cura
della mente il seren così t'oscura,
che sì vaga consorte,
mentre per te si duole,
tu, tiranno crudele, condanni a morte?
Non l'approva la terra, il ciel no 'l vuole,
l'abborisce natura.
Torna, deh torna alla tua sposa amante,
porta alla cara madre omai riposo;
rendi te stesso al genitor doglioso.
Frena il desir errante,
ché suol vana costanza
sol di perfidia aver nome e sembianza.
E saggio è quello, in cui,
vinto il proprio voler, cede all'altrui.
Credi, vanne, obbedisci,
vago degl'antri foschi.
Ti lascio in tanto, e me ne torno a i boschi.
SANT'ALESSIO
Attonito, e confuso
rimango a questi detti,
né par, ch'ad obedirlo il cor m'affretti,
temendo dall'inferno esser deluso;
ch'ad ogni passo ordisce un nuovo inganno
degli abissi il tiranno.
Dunque, a me porgi aita
... eterna fede
con pietade infinita
doni stabil soccorso a chi lo chiede.
DEMONIO
Ahi, che di qui mi scaccia
con poderosa mano
scendendo dalle stelle angelo sovrano,
e col suo lume ogni mia speme agghiaccia.
Omai qui di fermarmi a lui d'appresso
dal ciel non m'è permesso.
Scena Settima
(Apparendogli un Angelo, l'assicura che quello Eremita
era il Demonio, e che le ragioni da lui addotte devono
disprezzarsi da S. Alessio, che con particolare
ispirazione è chiamato da dio per una strada più
tosto ammirabile, che imitabile. Gli rivela la vicina
sua morte e la grandezza del premio preparatogli in
cielo. E l'esorta ad aspettare quel passaggio con animo
intrepido. Dal che confortato, il Santo invita la morte,
e va meditando la tranquillità che in essa ritrovano i
giusti. Viene l'Angelo volando dal cielo)
ANGELO
Alessio, Alessio, a me rivolgi il guardo.
Colui ch'alla tua sposa or ti rappella
con sembiante bugiardo,
è l'avversario antico,
implacabil’ nemico.
Per sentier non usato Iddio t'appella,
ché non soggiace a comun legge il giusto.
E sia ch'il tuo desire
raro altro segua e che ciascun l'ammire.
Quella palma sovrana,
che a te destina il ciel (prendi conforto),
da te non è lontana.
SANT'ALESSIO
Riverente t'inchino, angel di luce.
Ecco pur giunta è l'ora
che si chiuda in gioir lieto tormento.
Ecco che fuor di torbide procelle
colà sopra le stelle
pur vedrò senza occaso il mio contento.
Grazie ti rendo, o dio,
e provo ch'a ciascuno
giunge favor del ciel sempre opportuno.
Ma quando, d'ogni miseria in bando,
che l'alma voli al ciel, quando ciò, quando?
ANGELO
Breve sarà l'indugio.
Prendi ristoro e speme.
E giunto all'ore estreme,
non paventar di morte il varco ombroso,
ché a chi pene soffrì, morte è riposo.
SANT'ALESSIO
O morte gradita,
ti bramo, ti aspetto,
dal duolo al diletto
tuo calle n'invita.
O morte, o morte,
o morte gradita,
dal carcere umano
tu sola fai piano
il varco alla vita.
O morte soave,
de' giusti conforto,
tu guidi nel porto
d'ogni alma la nave,
O morte soave,
il viver fecondo
tu n'apri nel mondo,
con gelida chiave,
o morte soave.
Scena Ottava
(Ritorna il Demonio, risoluto di fare ogni sforzo per
superare Alessio nel breve spazio che gli rimane di
vita. È sopraggiunto da Marzio il quale, credendolo
un Eremita e volendo burlarlo come era solito fare
con Alessio entra seco in discorso. Adiratosi con lui,
procura di ritenerlo, ma viene in diversi modi schernito
dal Demonio)
DEMONIO
Già con desir costante
alla sua morte Alessio il cor dispone.
Nell'ultima tenzone
dunque non resti scemo
d'arte, o di forza il mio disegno audace,
però che un'alma in fino a punto estremo
ai perigli soggiace.
Ah, se nel franger del corporeo velo
in questo irreparabile momento
da cui dipende eternità di pene,
colui che bramai tanto,
rapir potessi eternamente al cielo
oh, che chiaro trionfo, oh, che gran vanto.
MARZIO
Non so quel che d'intorno in rozzo manto
qui se ne stia facendo un eremita.
(A Demonio)
Forse hai la via smarrita?
DEMONIO
Ben altra volta, ohimè, smarrii la strada.
Ma qui so molto ben, dove io mi vada.
MARZIO
Per venir di lontano,
lasci la casa abbandonata e sola?
DEMONIO
Anzi, ch'in mia magione è tanta gente,
che par quasi infinita.
MARZIO
E come vi si vive?
DEMONIO
Allegramente.
Chi sa, tu ne potresti far la prova.
MARZIO
Non mi piace l'usanza.
Io, perché di cantar ogn'hor son vago,
colà, per quelle selve ombrose, e spesse,
non vorrei, che il catarro m'offendesse.
DEMONIO
Non dubitar di questo,
ché subito una stanza ti darò,
la più calda che vi sia.
MARZIO
Io ti ringrazio; è troppa cortesia.
Tornatene pur solo
alle selve lontane.
E se cerchi limosina agl'alberghi
aspetta qui, ch'io porterò del pane.
DEMONIO
Fame non sento io no, più tosto ho sete;
e sento addosso un caldo che m'abbrugia.
MARZIO
E perché non bevete?
Non avete del vino in questa fiasca?
DEMONIO
Lascia star ché ti farà mal gioco.
MARZIO
Ahi, ahi, mi scotta, ohimè, vecchio indiscreto.
Perché vi tieni il foco,
così chiuso, e segreto,
ch'altri non lo discerne?
Servono forse i fiaschi per lanterne?
Ohimè, mi duole ancora.
Mentre, il fuoco ascondendo, or fai dimora
qualch'inganno ti passa per la testa.
Ma la gente sia presta
a discoprirti, e io fermarti voglio.
Ohimè, misero me, tutto mi doglio.
A stringerlo mi mossi e strinsi il vento,
ma pur non mi contento,
se non mi torno prima a vendicare.
Io ti terrò sì forte che non mi fuggirai.
(Il Demonio essendo ritenuto da Marzio si trasforma
in un orso. Marzio, volendo abbracciar l'Eremita, cade
per terra)
DEMONIO
Prima ch'io più t'offenda, lasciami andare
ché te ne pentirai.
Lasciami, che mi preme altra faccenda.
MARZIO
E che far mi potrai? fermati qui
non ti partire, ahi, ahi, ahi, ahi, ahi.
Scena Nona
(Comparisce la Religione per assistere al devoto
transito d'Alessio, e, gloriandosi dell'opera di lui
ormai giunto al premio meritato, invita il mondo
a seguitare la virtù. La Religione passa per l'aria
in un carro cinto di nuvole)
RELIGIONE
Io, di vera pietà madre e reina,
su la spiaggia latina
crescer sino a le stelle
veggo pur oggi i miei trionfi alteri,
poiché da le procelle
omai pur giunge Alessio
dove il regno superno
porge a' disagi altrui riposo eterno.
Ei, qual novello Alcide,
scorse vari sentieri.
Ma pure il mondo il vide
mostri domar più fieri,
vero trionfator d'Averno, e Pluto.
Onde è ragion che al fine
del suo valor sia Campidoglio il cielo.
Anime peregrine,
che solcate del mondo il mar fallace,
ah, non volgete il corso
dietro a scorta mendace
di quel piacer, ch'è duolo.
Io sola addito al cammin vostro il polo.
Quei, che sospirano
senza conforto
alfin pur mirano
là fra le stelle ai flutti loro il porto.
Al mio cenno fedele
ogni dubbio dilegua.
Chi può seguir il sol, l'ombra non segua.
Del gioir labile
non prezzi il lampo
chi brama stabile
aver nel cielo alla sua pace il campo.
Da mille pene in terra
un cor mai non ha tregua.
Chi può seguir il sol, l'ombra non segua.
Scena Decima
(Mentre Eufemiano si duole delle sue sventure in
compagnia di Adrasto, sente avviso, come nella
chiesa maggiore si era udita una voce dal cielo che
richiamava alle stelle l'anima travagliata nel mondo.
Perciò rallegratosi, raccoglie che anch'esso potrebbe
consolarsi una volta con il ritorno del figlio; e che
per qualsivoglia miseria non si deve mai perdere la
speranza)
ADRASTO
Talor che men s'attende,
pietoso il cielo il suo favor comparte
all'umane vicende.
EUFEMIANO
Ti parlo il vero, Adrasto:
in ogni parte
vedevo, oh, sì, delle speranze il seno
ché l'alma, ognor tra mille dubbi avvolta,
una voce ascoltar vorrebbe al meno,
che mi dica una volta:
«È morto Alessio, il tuo figliuolo è morto.»
Ah, folle, che ragiono?
Viva pur, viva il figlio,
lunge d'ogni periglio.
ADRASTO
Ma veggio, ch'anelante
con festoso sembiante,
con sollecito piè Nunzio arriva.
Udiam ciò ch'ei ne porti.
NUNZIO
In ogni riva
oggi risuona di letizia il Tebro.
E voi pur qui con la sembianza mesta
ve ne state in disparte,
e forse intese
non avete quai grazie il ciel n'appresta.
ADRASTO
Deh, fanne, amico, il tutto a noi palese.
NUNZIO
Stava pur dianzi accolto
dentro al tempio maggiore il popol folto,
quando dal ciel s'udì placida e chiara
risonar una voce in queste note:
vengano a me coloro,
ch'anelar fa delle fatiche il pondo,
laggiù nel cieco mondo;
ch'io gli darò ristoro.
Resta ciascuno al sacro altare avante
con le palpebre immote.
Dall'attonite genti
ciò che n'accenni il ciel ben non s'intende.
Ma pur ciascun ne prende
di fortunati eventi
non incerti presagi, e sperar lice
ch'esser pur deva Roma ancor felice.
EUFEMIANO
Non abbandona il cielo
alma, ch'in lui confida,
colma d'invitto zelo.
Or, se celeste voce
precorre il gioir nostro o fidi amici,
rassereniamo il cor con lieti auspici.
Ritornello per l'aria di «Questo Egeo»
Questo Egeo ch'è stabil campo
d'aspri nembi e di procelle
delle stelle
mira pur talora il lampo,
e propizio il ciel sovviene,
se fremente Austro s'avanza.
Chi s'aggira in mar di pene,
dia le vele alla speranza.
Ritornello
CORO DI GIOVANI
Il ciel pietoso
in suon giocondo
promett'al mondo
dolce riposo
di grazie nuove.
Un largo nembo
a Roma in grembo
oggi ne piove.
Ritornello strumentale
Di queste mura
cresce oggi il vanto,
poiché son tanto
al ciel in cura.
Dunque, in sembianza
di grati affetti,
il piè s'affretti
a liete danze.
Ritornello
Sinfonia
ATTO III
Scena Prima
(Il Demonio, avendo in vano usato ogni opera
contro il Santo, pieno di confusione precipita
all'inferno)
DEMONIO
Mal si resiste a fermo core, e male
contra dio si contende.
Non può forza infernale
di un'alma trionfar ch'il ciel difende.
Io, d'Alessio sperando aver la palma,
che non fei, che non dissi
perché de' ciechi abissi
fosse trofeo quell'alma?
E pur or veggio alfine
ogni speranza mia dispersa al vento.
Tornerò dunque ov'ogni lume è spento
all'orrido confine.
CORO DI DEMONI
Omai ritorno
qui faccia il piè,
ove del giorno
luce non è.
(Sotto i piedi del Demonio manca all'improvviso
la terra, egli trabocca in una voragine di fuoco)
DEMONIO
Cedo fuggo, son vinto.
Alessio, godi,
che solo in danno mio tornan le frodi.
CORO DI DEMONI
Qui dove loco
non ha pietà,
seggio di foco
per te sarà.
Scena Seconda
(Adrasto, per aver veduto diverse genti incamminarsi
alla casa d'Eufemiano va in compagnia di altri per
certificarsi della ragione e, incontratosi in uno della
stessa casa sente da lui la morte, la ricognizione di S.
Alessio, e dal medesimo viene introdotto nella stanza
dove giace il suo corpo)
ADRASTO
Dovunque io volgo il ciglio
per la città tra il popolo commosso,
di mirar parmi un tacito bisbiglio,
né qual sia la cagion intender posso.
CORO
S'ode d'intorno tutto
risonar l'Aventino
di tristezza e di lutto.
Qual sia, ch'oggi ne turbi empio destino?
NUNZIO
Rifugge il piè dal lagrimoso albergo,
perché non soffre il core
omai di rimirar tanto dolore.
Forse ancor tu ne vieni, amico Adrasto,
perché a parte esser vuoi
del più strano spettacolo e dolente,
ch'esser mai possa oggetto agl'occhi tuoi.
ADRASTO
Sospesa è l'alma in tristi dubbi avvolta.
Né ben anco raccoglio,
amico, la cagion del tuo cordoglio.
Deh, narra il tutto.
NUNZIO
Eccomi pronto, ascolta.
Poiché s'udì dal ciel suono celeste,
che dalla mortal veste
richiamava alle stelle
chi per dio s'affatica,
s'udì nel tempio istesso
novella voce amica
in cotal suono espresso:
d'Eufemiano il tetto
l'umil servo n'accoglie a dio diletto.
A tai note Innocenzo, il gran pastore
che porta il crin di tre corone onusto,
e seco Onorio, il glorioso Augusto,
d'immobile stupore il core impresso
vennero a questo albergo,
e quivi in bassa stanza
uom trovar da gel di morte oppresso
che coperta tenea col manto istesso
la pallida sembianza.
CORO
Omai ciascuno attonito, smarrito,
dalla tua bocca pende e chi sia questo
cotanto nel morire al ciel gradito?
NUNZIO
Narrerò a pieno il tutto. Udite il resto.
Stretto avea nella man vergato foglio,
che, da Innocenzio aperto
ohimè, ben tosto certo
ne fe' col nome suo l'altrui cordoglio.
Questi era Alessio, il sospirato Alessio,
che tant'anni presente,
sott'abito mal noto,
pianto fu come assente.
Da sì nuovo accidente i cor delusi,
perdon, fatti di sasso, e voce e moto.
Per altro calle, attoniti e confusi,
alfin tutti partiro
et i parenti insieme
qui restar soli alle doglianze estreme.
Scena Terza
(I Parenti acerbamente piangono la morte di Alessio.
Si legge la lettera scritta da lui prima di morire.
Mutandosi la scena, appariscono le logge e il giardino
del palazzo, nel quale, sotto alle scale, giace il corpo
del Santo)
SPOSA, MADRE, EUFEMIANO
Ohimè, ch'un ora sola
e lo rende e l'invola.
Ciechi e miseri noi, s'una brev’hora
con ombre tenebrose
mostra ciò che nascose
di mille giorni il lume.
Lassi noi, che, trovando il nostro bene,
di lui perdiam la speme.
ADRASTO
Ahi, fato acerbo, e triste,
dopo tant'anni io ti ritrovo a pena,
Alessio e ti riveggio, e non son visto.
Ma non si deve a te lamento, o pena,
ché di somma virtù vestigi lasci,
e se mori nel mondo, in ciel rinasci.
EUFEMIANO
Dunque, dunque, è pur vero,
che senza mai trovarti,
due volte t'ho perduto?
Ed è pur vero, e il provo
che mio tu fosti allor, ch'io ti perdei,
ed or ch'io ti ritrovo,
ohimè, più mio non sei?
SPOSA
Che pensieri furo i tuoi, Alessio?
e con quali lumi
mirasti i lumi altrui,
per te conversi in fiumi?
MADRE
Del mio fiero dolore
rigido spettatore,
tu pure, ohimè, distrutto,
mirasti il viver mio col ciglio asciutto?
EUFEMIANO
Ho visto, per pietà de' miei martiri,
risponder questi marmi ai tristi accenti.
Ho visto a' miei sospiri
spirar pietosi i venti.
Tu solo, o figlio,
all'or ch'in pianto sciolsi,
i miei dolor funesti,
tu solo, o figlio, avesti
chiuse l'orecchie al pianto, ond'io mi dolsi.
MARZIO
O mia cieca follia,
che trascorresti ad oltraggiar sovente
un giusto, un innocente!
Quanto fu grave, ohimè, la colpa mia.
Deh pria ch'in me l'ira del ciel discenda,
pietà di me ti prenda,
ché, se pentito or sono,
dalla tua gran pietà spero il perdono.
CURZIO
Troppo, ohimè, troppo errai,
e troppo ohimè, t'offesi.
Ma tu condona i falli,
alma clemente,
poiché spirto celeste ira non sente.
SPOSA, MADRE, EUFEMIANO
O luci, voi ch'erraste
col non conoscer mai l'amato pegno
piangete il fallir vostro,
ché di sua stirpe l'unico sostegno
mirar più non potrete in questo chiostro.
Ohimè ch'un'hora sola
e lo rende e l'invola.
EUFEMIANO
Foglio, ch'in te racchiudi
memoria che al mio cor sia sempre amara,
pur tua vista m'è cara.
E se capace è di conforto il duolo,
in udir le tue note io mi consolo.
Deh, leggi, amico, tu ciò ch'ei n'esprime.
UNO DEL CORO
(legge la lettera)
«Alla Sposa, alla madre, al genitore.
Dell'ultim'hore
al desiato punto
Alessio giunto,
sofferenza e pace
prega verace.»
EUFEMIANO
Come, pace a me preghi?
Se quando parti, o figlio, e quando torni,
con soverchio rigor pace mi nieghi?
UNO DEL CORO
«Prima ch'io chiuda i lumi
in breve foglio
noti far voglio
i casi miei diversi,
ciò che soffersi
e quali in vario corso
parti ho trascorso.
Io già d'essa alla remota sede
rivolsi il piede,
e d'adorar fui vago
celeste imago,
e poscia ad altre sponde
varcai per l'onde.
Ma da venti agitato, e sopra fatto,
qua fui ritratto,
e il genitor m'accoglie
in queste soglie,
ove gl'altrui lamenti
fur miei tormenti.»
EUFEMIANO
O, d'invitta fermezza esempio vero,
tra miserie cotante,
come potesti, o figlio, esser costante?
UNO DEL CORO
«Hora che l'alma in ciel torna e riposa,
o madre, o sposa, o genitore, il duolo,
sen fugga a volo,
e il cor prenda conforto,
ch'io giungo in porto.»
SPOSA, MADRE, EUFEMIANO
Pianti, o doglie estreme,
dal cui rigore ogn'altra doglia è vinta.
Non speri più da quella bocca estinta
udir d'Alessio i casi il cor che geme.
Scena Quarta
(Gli Angeli, accompagnando l'anima del Santo
persuadono i parenti, che a torto, si dolgono nel
mondo per la morte di chi è ricevuto nel cielo con
tanto giubilo)
CORO D'ANGELI
Lasciate il pianto,
poi che dal ciel le schiere
con lieto canto
chiaman l'alma d'Alessio all'alte sfere,
ed ei festoso,
giunto al riposo,
di stelle ha la corona e d'oro il manto;
lasciate il pianto.
EUFEMIANO
O mia consorte, o figlia,
se felice quell'alma
dopo tanti tormenti
gode corona e palma,
non invidiam col duolo i suoi contenti.
MADRE
Poich'a lasciare il pianto il ciel n'invita,
abbia in me tregua il duolo.
SPOSA
Nel suo gioir, il mio dolor consolo.
Scena Quinta
(Comparisce dalla casa del Santo la Religione e seco
viene un coro di Virtù figurate per l'otto beatitudini,
quali furono mezzi ad Alessio per ottenere la gloria.
La Religione rallegrandosi dell'acquisto fatto dal cielo
in S. Alessio gli destina il tempio, che dagli antichi
Romani fu dedicato a Ercole. Partesi poi la Religione,
incamminandosi a consacrare il tempio a S. Alessio
e mentre dagli Angeli si continuano i canti, festeggiano
le Virtù coi balli.)
RELIGIONE
Vive Alessio,
che morto al mondo visse,
vive colui, che più d'Alcide invitto
fu gli ampi abissi a superar potente.
Hora vogl'io che della nobil alma
si riponga la salma
nel vicin tempio, ove pietade insana
d'Ercole venerar fece i trofei.
Vera pietà romana
qui sciolga i preghi e quindi grazie attenda.
Ho voi felici ancelle
che rendete soave anco il dolore,
e in mezzo anco alle spine
fate spuntar delle virtudi il fiore;
voi che alle stelle alfine
conducente l’eroe per erti colli
or con festosi balli
gioite a' suoi trionfi,
celebrate i suoi casi, e, poi ch'il cielo
gradì d'Alessio il pianto,
di letizia or s'oda il canto.
(Spariscono alcune nuvole e vedesi nel paradiso il
Santo, circondato da molti Angeli, che con suoni e
canti l'accompagnano)
CORO D'ANGELI
Il ciel vagheggia
alma beata omai,
e l'alta reggia
rimira, adorna di lucenti rai.
Dei sommi giri
godi i zaffiri
ove senza accidente il sol lampeggia.
Balletto delle Virtù
CORO D'ANGELI
Godi pur alma gradita
presso i rai d'eterno re,
che nel regno della vita
avrà premio la tua fé.
Qui fé durabile
mai sempre stabile
trova mercé.
Balletto delle Virtù
CORO D'ANGELI
Tanto già fatto giocondo
quanto il cor prima soffrì,
che fuggendo il cieco mondo
al ristoro in ciel salì,
dove risplendono lumi,
che rendono eterno il dì.
Balletto delle Virtù
CORO D'ANGELI
Delle stelle il nobil trono
vagheggiare oggi puoi tu,
e provar quai seggi sono
preparati a gran virtù.
Per te festeggiano,
per te lampeggiano
le stelle or più.
Balletto delle Virtù
CORO D'ANGELI
Felice Roma,
che grazie impetrar puoi
da lui, ch'hor noma
festoso il ciel in fra gli eletti suoi.
Con pregi tanti
cresci i tuoi vanti,
e di pietoso allor
cingi la chioma,
felice Roma.

|
PRÓLOGO
Escena Primera
(Un grupo numeroso
de esclavos se encuentra
situado alrededor de un bello monumento que
representa la figura alegórica de Roma. Los
esclavos muestran su júbilo por el anuncio de
la próxima visita del príncipe Alejandro Carlos
de Polonia y, de común acuerdo, deciden
representar la historia de San Alessio, varón
famoso no ya por su virtud y santidad, sino
también por el arrojo y valor en el combate.
Roma, que está ansiosa de mostrar a todos
que no sólo fue famosa por sus conquistas sino
por su clemencia, ordena quitar la cadenas de
los esclavos y dejarlos en libertad)
CORO DE ESCLAVOS
Un día claro
nos brinda la suerte propicia.
Hoy resplandece una nueva luz
en torno al Tíber.
Con luminarias y cantos
en honor de Alessio,
difundamos por doquier
su excelso nombre
y su gloriosa fama...
Ritornello Instrumental
(A lo largo del ritornello Roma desciende del
pedestal y comienza a cantar)
ROMA
Yo soy Roma.
Mi trono,
con triunfos y botines,
he ornado en el Capitolio.
Soy aquella cuyos
famosos héroes pisaron
los campos mauritanos y las costas orientales.
Ritornello Instrumental
ROMA
Mis hijos
no sólo se distinguieron
en contiendas y peligros,
sino que muchos de ellos
también siguieron
los pasos de Cristo
alcanzando el premio
del reino eterno.
Ritornello
ROMA
Entre todos aquellos
que el cielo acoge por su valor,
sobresale la fama de Alessio.
Él se ocultó en su casa natal
haciéndose pasar por un humilde mendigo
y cuanto más ignorado era por los demás,
más se conocía a sí mismo.
Ritornello
ROMA
La pompa y el lujo que otros aman
él los despreció.
De los suntuosos palacios salió invicta su firmeza,
dando un raro ejemplo de humildad y constancia
sin igual en el mundo.
Ritornello
ROMA
Hoy, en el mismo escenario,
con musicales armonías
lo relatará Hipocrene.
Y los amargos lamentos de sus parientes,
harán con sus tristes notas,
bañarse de lágrimas
vuestras mejillas.
Ritornello
ROMA
No sentir piedad
ante tan gran dolor,
sería una crueldad.
Así pues, si aquí hay
algún corazón
al que no le agrade llorar,
¡que cambie de opinión
o que se vaya!
Ritornello
ROMA
Puesto que es mi deseo
mostrar de mil modos
la piedad que tanto me agrada,
¡rómpanse los nudos de estas cadenas!
pues no deseo rigor,
sino que en mi pecho
impere la mansedumbre.
Ritornello
ESCLAVOS
Fastuosa guerrera
que favoreces nuestros pechos
ahora consagrados a Cristo,
desplegando el gran estandarte de la cruz.
Con majestuosa serenidad, vencedora adorada,
anhelamos alegres que seas la reina
de nuestros devotos corazones.
ACTO I
Escena Primera
(Eufemiano y Adrasto. Eufemiano,
senador romano y padre de Alessio,
encontrándose con el caballero romano
Adrasto recién llegado de la guerra,
se alegra de su regreso y le cuenta la
desaparición, hace ya tiempo, de su
hijo. Adrasto, conmovido por el suceso,
consuela fraternalmente a su amigo Eufemiano)
EUFEMIANO
Tras tantos años,
¡al fin regresas, Adrasto!
y en el suelo patrio
pones el pie con generoso fasto.
Orgulloso de mil laureles y triunfos,
al fin sonríes feliz y por ello,
mi corazón te acoge alegre.
¡Que el cielo sea propicio a tus deseos!
ADRASTO
Que tales muestras de afecto y buenos deseos,
los recompense mi amor;
pues yo siento, al volverte a ver,
el mayor de los gozos.
Mas al mismo tiempo se inquieta mi pecho,
pues contigo no hallo, ¡oh, destino cruel!
a tu hijo Alessio,
el más fiel de mis compañeros.
EUFEMIANO
¡Funestos recuerdos!
El cielo no quiere
que los males de mi vejez
sean consolados
por mi amado hijo.
Así lloro mi desventura
y sólo pido a todas horas,
que si el fin de mi pesar
no encuentro de otro modo,
la muerte venga a remediar mi dolor.
ADRASTO
El corazón noble,
invicto Eufemiano,
no flaquea ante las miserias;
al contrario,
se fortalece con las desgracias.
Incluso en el dolor más extremo,
la dulce esperanza
enjuga las lágrimas y conforta el corazón.
Reciba consuelo tu mente inquieta,
que yo te traigo nuevas de esperanza.
Estando en Oriente
con el noble deseo de luchar,
me encontré a tus fieles siervos que,
sin escatimar esfuerzos,
solícitos buscaban por doquier
el paradero de tu querido hijo.
Pude oír,
y no era un rumor falso,
que desde costas lejanas llegaba a Palestina
inflamado de santo celo,
un peregrino devoto
a quien el cielo colmaba de gracia.
¿Quizá fuese él Alessio, encubierto?
Marchó de improviso
y tus emisarios lo siguieron.
Yo confiaba en que pronto aquella cuestión,
con el favor del cielo, se aclararía.
Pero desgraciadamente
nada más se supo del asunto.
Extrañas en verdad
resultan las intenciones de Alessio.
No puede comprenderse
qué cuitas o deseos
le llevan por caminos
tan alejados de su casa.
EUFEMIANO
Es bien sencillo, Adrasto,
su partida inesperada y repentina
fue sólo para martirizarme.
Otra razón para su marcha no encuentro.
Era la noche, ¡ah, noche fatal para mí!
en la que esperaba que quedase unido
por el vínculo matrimonial.
Entonces él ¡ah, hijo mío! decidió marcharse
sin importarle las promesas hechas.
A escondidas se encaminó a otro lugar.
Entre aquellas sombras, propicias a su huida,
no hubiera podido descubrirlo
ni la antorcha de Himeneo.
ADRASTO
¡Oh, padre doliente, digno de piedad!
EUFEMIANO
¡Ay, desde entonces, noche y día,
resuenan en el Aventino mis lamentos!
Y a la puesta y a la salida del sol,
a mi anhelado hijo
llamo con voz lánguida y temblorosa.
El Tíber oye, piadoso, mi llanto.
ADRASTO
No saber
la suerte
que ha corrido Alessio,
acrecienta el mal.
EUFEMIANO
¡Ah, si yo supiese al menos
qué dura piedra acoge
dentro de su gélido seno,
sus añorados restos!
Eso me bastaría, con eso moriría feliz.
Pero aun eso se me niega.
Quiere el cielo que yo suspire
y desahogue por doquier mis lamentos,
considerando que sería poco
señalar una tumba a mis tormentos.
ADRASTO
El cielo piadoso tu dolor consuele,
que bien merece piedad
ante tal tormento,
tu avanzada edad.
Dios te confortará
y espero que en breve
nos librará de nuestro sufrimiento.
Escena Segunda
(Meditando Alessio la vanidad de los hombres y
la fugacidad de los asuntos terrenales, resuelve
liberarse de la cárcel del mundo y suplica ayuda
a Dios mediante la oración)
SAN ALESSIO
¿De qué vale erigir sobre grandes columnas
excelsos muros para nuestros restos mortales,
si es poca la tierra necesaria para acogerlos?
¡Oh, deseo ciego! ¡Oh, vanidad mortal!
¡Oh, deseo engañado por sentidos y placeres!
Yo he encontrado bajo la escalera de mi casa
un angosto, sí, pero plácido escondite.
Ahí, subyugando mis sentidos,
a menudo llevo a la mente a contemplar
la inmensidad del reino celestial.
Confío en que la escalera
bajo la que me cobijo
me llevará hasta el Creador, si la utilizo bien.
Aria
Si vuelan las horas
y se llevan consigo
lo que los demás tienen aquí,
¿quién me dará alas
para que al otro polo
yo emprenda el vuelo
y pueda reposar allí?
Sinfonía
Los falsos resplandores
al alma ofenden
y resquebrajan la fe.
¿Quién me dará alas
para que al otro polo
yo emprenda el vuelo
y pueda reposar allí?
Ritornello
Escena Tercera
(Marcio y Curcio, pajes de Eufemiano, al
ver a Alessio y creyéndolo un pobre y humilde
peregrino, lo acogen por caridad en el palacio,
pero sin cesar de burlarse de él. Alessio todo lo
acepta con humildad)
Dúo
CURCIO, MARCIO
Las pocas ganas de hacer el bien,
vivir alegre y buscar el placer,
fresco y gordo me mantienen.
La fatiga es mi enemiga.
Y mientras yo viva así,
es fiesta cada día para mí.
¡Di, ri, ri, di, ri!...
Vaya el mundo como quiera.
Yo dejo hacer y no me molesto.
El resto sólo son palabras.
Está loco de atar
quien se preocupa
por saber qué pasará.
¡Di, ri, ri, di, ri!
CURCIO
Mas ahí, triste y solitario,
veo al peregrino mendigo,
que aquí nuestro señor mantiene,
yo creo que para nuestra diversión.
Es medio tonto:
pues honra a quien le ofende
y si alguien lo desprecia, no se indigna.
Siempre lanzo sobre él mis escarnios,
de palabra o de obra.
Y ya casi me vuelvo
tan loco como él,
porque suele decirse
que un loco hace ciento.
MARCIO
(A Alessio)
¡Ah! ¿Qué hiriente cuita te ofende
y qué pesar nubla tu mente,
para que estés aquí
tan callado y solo?
SAN ALESSIO
¿Qué otra cosa puedo hacer, si soy vil y sumiso?
Yo, que soy un peso inútil para la tierra
y estoy manchado con mil culpas,
otra cosa no sé hacer. Huyo y me escondo.
CURCIO
No hablemos de huir,
pues la única fuga que merece alabanza
es la que se hace con la voz y no con el pie.
MARCIO
Si quieres mostrarte intrépido y seguro,
oye lo que debes hacer.
Ya suena, ya suena el tambor.
¡Vayamos rápido a alistarnos!
Y con la pluma,
como guerreros altivos,
recorreremos majestuosos el campo de batalla.
SAN ALESSIO
¿Por qué buscar en la tierra
nuevas guerras,
si la vida mortal ya es en sí otra guerra?
CURCIO
Yo no entiendo
discursos tan elevados.
Mas sí entiendo
que has huido
ante el ataque
del enemigo.
MARCIO
Éste, a decir verdad,
en el habla, el hábito y el semblante,
me parece un soldado
que perdido su ardor primitivo,
retorna desvalido.
CURCIO
Ésa no es forma
de parecer valiente.
No te preocupes de la gloria.
CURCIO, MARCIO
¡Oh, gran vergüenza!
MARCIO
Te lo confieso; cuando estoy contigo,
siempre me apetece reírme de ti, pero callo.
Ahora, para olvidar tales pensamientos,
¡lárgate de aquí!
CURCIO
Tú que eres tan cobarde,
con solícito pie,
con humilde mirada,
¡lárgate, desaparece de aquí
y sin tardanza toma otro camino!
CURCIO, MARCIO
¡Largo, su señoría!
Escena Cuarta
(La escena representa el infierno, donde a lo
lejos pueden verse las penas que sufren los
condenados. Un numeroso grupo de espíritus
infernales entran en escena. Mientras unos
cantan, otros bailan. El Demonio arenga a
su corte infernal prometiéndoles la victoria. Los
espíritus bailan alrededor de Alessio para tratar
de hacer flaquear su santidad)
Aria
CORO DE DEMONIOS
¡Abramos
la puerta negra
de la muerte!
¡Adelante,
destruyamos
las plegarias de Alessio!
¡Al saqueo, a la palma, a la fama, a la fiesta!
¡Hagamos que
se olviden
sus buenas obras!
¡Sí, ocultemos sus
acciones nobles!
¡Al saqueo, a la palma, a la fama, a la fiesta!
DEMONIO
Desde la noche profunda,
mientras la corriente del turbio Aqueronte
mezcla con terror fuego y agua,
yergo mi frente
obedeciendo la orden de Tártaros,
para ver, muy a mi pesar, la adversa luz.
Aunque del reino de las estrellas,
nosotros, almas rebeldes,
caímos fulminados
y fue vencido nuestro vano ardor,
aún no se ha extinguido nuestra ira.
Y aunque está cerrado el paso a nuestras armas,
mientras el hombre aspire a vivir
y mantenga la esperanza,
las fuerzas del abismo
no descansarán
para urdir en su contra
traición, rigor, fuerza y engaño.
Puesto que, para desgracia nuestra,
su pensamiento
vuelve Alessio
hacia la senda celestial
y no permite que sus parientes,
con suspiros y lágrimas,
le aparten de ella,
que pase los días sin alimento,
y sin sueño
pase las noches enteras.
Y si alguna vez reposa su cuerpo cansado,
tenga por lecho una dura roca.
Si hoy no me arrebatan mi poder,
resquebrajaré ese corazón de diamante.
Yo, el autor de todos los fraudes,
impelido por la ira a tan alta empresa,
no malgastaré negligente los días y las horas.
En dura contienda
contra su fuerte pecho,
bajo aspecto fingido
desplegaré mis artes,
hasta que ejecute por entero mi plan.
(Mientras los demonios continúan cantando,
otros ejecutan una danza moresca con tizones
en las manos)
Moresca y Coro de Demonios
CORO DE DEMONIOS
¡Ira horrible,
condúcenos
hacia la luz!
¡Adelante,
ármese el terrible abismo!
¡A los golpes, a las matanzas,
a las armas!
Logremos el trofeo
de miles de almas.
¡Que nadie retroceda
en el ataque!
¡A los golpes, a las matanzas,
a las armas!
¡Truene la sombra,
tiemble el lecho del Cocito, sí,
resuenen sólo himnos feroces!
¡A los golpes, a las matanzas,
a las armas!
Escena Quinta
(La madre y la esposa de Alessio lloran por su
ausencia. La nodriza trata en vano de consolarlas
y por consejo de ella, imploran a Dios para que
proteja Alessio allá donde se encuentre)
NODRIZA
Contén, tras tantos años,
tu amargo sufrimiento.
¿Por qué consumirse en un llanto estéril?
¿Qué bien puedes esperar
de un llanto continuo
por quien no ves?
ESPOSA
Deja que llore, ¡oh, nodriza!
demasiado cruel es la suerte del pecho oprimido
que no puede llorar
en el dolor extremo.
MADRE
Yo también sé muy bien, ¡oh, querida!
que las quejas
se pierden en el viento.
Y sé que con lamentos, ¡ay de mí!
sólo podemos aumentar nuestro dolor.
Mas, si al no tener noticias de mi hijo,
se renueva cada día mi martirio,
¿cómo puedo contener el llanto?
Incluso la noche,
que es madre del reposo,
se me muestra con espíritus y portentos,
turbia y tempestuosa,
hórrida y espantosa.
Y para que desaparezca todo consuelo,
¡oh, cuántas veces ante mis ojos,
de mil modos atroces y malvados,
aparece en sueños Alessio,
ya moribundo, ya muerto!
Así, noche y día,
mientras mucho anhelo y nada espero,
me aflige lo falso y no me consuela lo verdadero.
ESPOSA
Nos muestre o nos esconda Apolo su luz,
mis inquietudes no me dan respiro
y mi cama parece hecha
de espinas punzantes que me roban el sueño.
Y así, con mis pobres y abatidos pensamientos,
con suspiros entrecortados,
voy contando las horas
de la callada noche.
MARCIO
Ahora sé por
qué duermo a todas horas.
Cuando el sueño llega a esta casa,
todos lo echan fuera
y él descarga sobre mí toda su venganza.
ESPOSA
Amarga e infiel noche,
si a mis afligidos ojos
ocultas mi bello sol
y me rodeas de tinieblas,
¿por qué no me traes también el reposo?
MADRE
Si conocieras, Alessio, mis tormentos,
sé que sentirías piedad.
Por eso, doquiera que estés,
en el cielo, en la mar o en tierra,
podrás ver que mi dolor es tanto
que supera a las estrellas
que hay en el cielo,
a las plantas de la tierra y a la arena del mar.
ESPOSA
¿Por qué me privas de tus ojos?
MADRE
¿Cómo puedes abandonarme, cruel?
ESPOSA
¡Oh, qué fugaz fue tu presencia, Alessio!
MADRE
¡Oh, qué inconstante eres, Fortuna!
ESPOSA
Contigo esperaba gozar, y estoy sin ti.
MADRE
Esperaba ser feliz, y lloro, ¡ay de mí!
ESPOSA
Insatisfechos deseos, desconsolada dulzura.
MADRE
Eternos martirios, funesta amargura.
MADRE, ESPOSA
¡Oh, engañosas ilusiones de los mortales,
tanto más deprisa huye el bien,
cuanto más nos place!
CURCIO
¡Ay de mí, este eterno suspirar y llorar,
es un pésimo ejercicio,
con el que se pierde tiempo y energía.
Te conduce al precipicio
y en diez días acaba contigo.
ESPOSA
Te he perdido, Alessio, y temo ¡ay, suerte!
temo que el nudo diamantino y fuerte
con el que mi corazón quedó unido a ti,
la mano impía de la acerba muerte
lo haya desatado.
NODRIZA
Vanos son los presagios que torturan al corazón.
Ayuda a la mente afligida
esperar siempre prósperos sucesos,
porque no siempre se espera el bien en vano.
MADRE
Quien sigue el camino de las miserias mortales,
no llega muy lejos
por la senda de la esperanza.
NODRIZA
En vuestro gran dolor por el ser amado,
ya esté muerto o vivo,
dirigid al cielo vuestras plegarias y el corazón,
pues volarán a las esferas celestiales,
con las alas de la piedad,
vuestras plegarias.
(Un grupo de sirvientes de Eufemiano entonan
un canto sobre las vicisitudes mundanas y se
encomiendan a la misericordia divina)
CORO DE SIRVIENTES
Doquiera que estés,
dulce Jesús,
vela tras los pasos
de Alessio.
Que siempre se dirija
adonde sea venerada
tu gran virtud.
Ritornelo
Si como peregrino
errando va,
allánale el camino.
Donde se acoja,
adonde se dirija,
que siempre
encuentre piedad.
Ritornelo
Con miserable suerte,
todo mortal, doquiera dirija sus pasos,
rápido corre a encontrarse con la muerte.
A ella, sobre sus nuevas víctimas,
siempre se la ve avanzar soberbia y triunfante.
No hay ciudad o vía remota,
donde sobre restos mortales
no coloque ella su formidable trono;
ni hay lugares escondidos
en los que ocultarse para evitar su furor.
No hay lugar circundado de fosos y murallas,
que resista invicto el furor de la muerte.
Con razón Natura hace de todo lugar
una sepultura para el hombre.
En el peligroso mundo en el que todos vivimos,
sólo la ayuda que se pide al cielo
sirve de amparo contra la muerte.
Que el cielo con su infinita piedad,
le escuche y conserve a Alessio con vida.
Escena Sexta
(La escena siguiente fue añadida para servir
de introducción a un ballet. Curcio deambula
cavilando nuevas burlas que hacer al supuesto
peregrino, cuando se encuentra con un grupo
de lugareños. La escena se transforma en un
agradable bosque)
CURCIO
La mejor profesión
es la de divertirse.
A mí me gusta tanto, a fe mía,
que cuando tengo tiempo, no la dejo.
Así que a menudo
me escapo a este grato bosque pues,
cuando estoy en Roma,
no tengo una hora alegre.
Apenas puedo decir una palabra,
pues debo estar,
mientras sirvo a mi patrona,
afligido durante la conversación.
Pero aquí las cosas son muy distintas,
aquí siempre voy de caza y,
si no me divierto, peor para mí.
Ahora que no tengo nada mejor que hacer,
quiero que los campesinos de mi patrón
bailen una danza conforme a su usanza,
para que el peregrino,
que es un loco afligido y doliente,
se convierta en un loco alegre.
Mañana lo traeré a este bosque,
donde le haré reír a su pesar.
¡Comenzad ya, amigos,
alguna gentil variación!
Os prometo que siempre
que vengáis a visitarme
os llevaré a la fuente
y os daré de beber.
Ballet
(Sale un grupo de campesinos con trajes típicos
que ejecutan un ballet con varias danzas)
MARCIO
Puesto que todo está listo,
mañana volveré con el peregrino.
Sinfonía
ACTO II
Escena Primera
(Eufemiano, pensando en la alegría de los
padres de Adrastro al verlo regresar, llora
su propia desdicha al no tener esperanzas de
ver nunca más a su hijo)
EUFEMIANO
¡Oh, feliz progenitor de Adrasto,
hoy al fin acoges en tu casa
a tu anhelado hijo!
Vuelves la mirada
hacia el hijo generoso
y gozas al fin junto a tus seres queridos.
Yo, solo, víctima miserable
de una pena extrema
y privado de toda esperanza,
albergo sólo desgracias en el pecho.
¡Ay de mí! ¡Cuánto estupor!
¡No hay tregua para mi dolor!
Yo soy quien,
en todo el Aventino,
sufre un destino
más atroz y cruel.
¡Yo soy!
¡Oh, pena acerba!
¡Oh, dolor infinito!
¡Quitadme la vida!
En tan largo martirio,
que mi vida sea el morir.
¡Oh, pena acerba,
¡Oh, dolor infinito!
¡Quitadme la vida!
Escena Segunda
(El Demonio manifiesta que ha concebido un plan
por el que espera que Alessio se dé a conocer y
así regrese a gozar de los placeres mundanos)
DEMONIO
Propicia sonríe a mi deseo la suerte.
He urdido una trama para destruir a mi víctima.
He inducido a la consorte de Alessio a fugarse
y ya está dispuesta a partir
para buscar a su marido errante.
Para detenerla,
él tendrá que desenmascararse.
Por duro que sea su pecho,
no permitirá que ella
le busque errante por otros confines.
Y si, pese a mis esfuerzos,
no cede la constancia de Alessio,
cuyo ejemplo supera todo lo conocido,
yo, lleno de osadía,
no perderé la esperanza.
Intentaré nuevos asaltos y guerras,
pues las fortalezas asediadas
terminan cayendo.
Escena Tercera
(La Esposa con ropa de viaje y la Nodriza.
La Esposa, resuelta a buscar por doquier al
perdido Alessio, aparece con ropa de viaje y
mientras expresa sus pensamientos en voz alta,
es escuchada por la Nodriza quien, sin ser vista,
corre a avisar a la Madre)
ESPOSA
¡Adiós Tíber, adiós colinas!
¡Oh, patria, adiós!
Y vosotros, muros queridos
que me albergasteis ¡adiós!
siempre os querré,
aunque fue entre vosotros
donde nació mi gran dolor.
Anhelaba vivir aquí, mas el cielo no lo quiere.
Ya estoy lista para la partida,
porque aquí, sin mi bien, sin mi corazón,
rigurosa pena es mi vida.
NODRIZA
La incauta joven
y mal aconsejada amante,
se apresta a partir;
pero he descubierto su fuga
y no permitiré tan vana empresa.
ESPOSA
¿Dónde me conducirá mi dolor?
¿Dónde el amor, si uno y otro son ciegos?
¡Ah! ¿Dónde podré pasar contigo, Alessio,
de nuevo días gozosos?
¿Dónde ¡ah! dónde estás?
¿Dónde te escondes?
Hacia ti me encamino.
No desprecies mi pasión y mi amor,
pues si poca es la beldad, mucha es la fidelidad.
¡Cruel, oh, Dios!
¿A mí me respondes así?
¿Dónde ¡ah! dónde estás?
¿Dónde te escondes?
¿Cambiaste de deseo?
¡Oh, amante voluble!
¿O, cual rama inconstante,
te gustó otra beldad y la deseaste?
¿Quizá ahora le narras mi amor escarnecido,
mi fidelidad traicionada y mi dolor profundo?
¿Dónde ¡ah! dónde estás? ¿Dónde te escondes?
NODRIZA
¿Debo descubrirme o no?
No, mis ruegos no calmarán
sus deseos ardientes.
Mejor será decírselo
a quien pueda retenerla.
ESPOSA
¡Ah juventud falaz,
perjura es tu fidelidad!
Desdichada, ¿a quién podrás creer
si el mismísimo Alessio mintió?
¡Ay de mí!
¿Dónde me llevará mi dolor?
¿Qué hablo y qué deliro?
Me quejo de mi destino, Alessio mío, no de ti.
Pues bajo el cielo latino,
donde la virtud toda suele resplandecer,
fuiste un sol de virtud e inocencia.
¿Por qué me entretengo?
Escena Cuarta
(La Madre intenta impedir la partida de la
Esposa pero, estimulada por tan gran ejemplo
de fidelidad, resuelve partir con ella en busca
de su hijo. Alessio, tras conocer las intenciones
de su madre y esposa se encomienda a Dios e
intenta con diversas excusas seguir su camino.
La Esposa, viendo que sus esfuerzos son vanos,
se desmaya de dolor)
NODRIZA
¡Apresúrate; demorarse puede ser fatal!
¡Mira, ya parte!
MADRE
Hija, a mis ojos la más querida,
¿por qué te has cambiado de ropa?
¿Quizá el cielo me prepara
nuevas desgracias
con tu partida amarga?
¿Quieres que me quede llorando aquí sola?
ESPOSA
Lo sabe el cielo y lo sabe el amor:
fuera de la casa amada
me empuja una fuerza que no puedo resistir.
En mi corazón conmovido
siento un aguijón que espolea mis pies;
quizá me inspira el cielo
para que encuentre a mi consorte
o para que mi muerte una a la suya.
Ya no puedo seguir aquí
entre tantos tormentos amargos,
pasando mis días solitarios.
¡Ah, no se impida
que busque su corazón
quien lo ha perdido!
SAN ALESSIO
¿Qué oigo?
¡Oh, cielos! ¡Qué veo?
¡Ah, no puede ser verdad que se marche!
MADRE
¡Oh, digna prueba de amor constante!
Ya que no puedo reprobar tu idea,
quiero seguirla yo también.
Me cambiare de ropa e iré contigo
doquiera que el sol dirija su cara radiante.
Par ir en busca
del hijo anhelado
no descansará mi pie.
ESPOSA
Puedo ir sola; pues tengo tanto valor en el pecho
que no necesito compañía.
MADRE
Con razones y ruegos intentas, hija,
disuadirme en vano.
Si rechazas que sea tu compañera de camino,
me verás precederte.
Vayámonos ya; que en los siglos futuros
quizá esta época sea famosa
por el amor de una madre y el de una esposa.
NODRIZA
¡Pobre de mí!
¿Qué puedo hacer?
¿Qué debo hacer?
Veo que todo consejo será inútil para retenerlas.
Pobre Eufemiano;
¿qué ruina acerba
en el ocaso de tu vida
el cielo te reserva?
¡Ay! Si puedo pedir tanto,
que no sea este llanto,
sino el amor y la fidelidad
que os he demostrado,
lo que os haga deteneros un momento
y pensar dónde os conduce
vuestro descabellado deseo.
MADRE, ESPOSA
¡A encontrar a Alessio o a morir!
MARCIO
Me gustaría verlo...
Al tercer día estarán de vuelta.
Creen que todos los caminos
están son empedrados
y son tan llanos
como calles romanas.
CURCIO
¡Y que donde vayan
no encontrarán dificultades!
¡Oh, cuántos malos pasos!
¡Será salir y caer!
¡Váyanse, no las envidio!
Yo pienso bien distinto.
No tengo interés en cambiar de aires.
SAN ALESSIO
Que no me falte ahora la ayuda del cielo.
Sí, debo oponerme a su deseo falaz,
pues dentro de sus almas anida el deseo.
(A la Madre y Esposa)
No os enfadéis, excelsas damas,
si yo, que no soy digno de hablaros,
hoy tengo la audacia de hacerlo.
Si vuestro plan, c
omo acabo de oír,
es marchar lejos de esta ciudad de Marte,
buscando otros países,
yo, que he recorrido gran parte el mundo,
bien puedo, como experto,
aconsejaros y mostraros la verdad.
NODRIZA
Escuchad por Dios lo que dice,
que a menudo la verdad se expresa
con palabras sencillas.
ESPOSA
Desprecio a quien quiera
apartarme de mi camino,
porque el corazón resuelto odia los consejos.
MADRE
Las piadosas palabras
de este humilde joven,
despiertan en mi corazón
un no sé qué insólito y dulce.
Oigamos lo que nos quiere decir
CURCIO
Sí, hacen bien en oírlo;
aún no es tarde
y no las retrasará mucho.
MARCIO
Si hacen una parada corta,
llegarán esta tarde a Prima Porta.
SAN ALESSIO
Conozco vuestro dolor
y también la esperanza que a partir os invita.
Mas si justo es el dolor, vana es la esperaza.
Quizá en alguna parte,
incógnito y ermitaño,
se oculte Alessio,
y cuanto más le busquéis, más os alejéis de él.
Tal vez ha cambiado tanto su semblante,
que incluso si lo vieseis, no lo reconoceríais.
ESPOSA
Eso no lo temo, pues donde se alberga Amor,
aunque sean ciegos los ojos, es Argos el corazón.
SAN ALESSIO
Montes y piedras
entorpecerán vuestros pasos.
MADRE
El deseo animoso
fortalece y hace leve el martirio.
SAN ALESSIO
Quien por largo sendero a errar se dispone
a miles de peligros su pecho expone.
ESPOSA
Para un pecho inerme y desnudo
la virtud es fortaleza y la inocencia escudo.
SAN ALESSIO
La honestidad
os veta los caminos desconocidos.
MADRE
La honestidad siempre cobija
a un pecho generoso.
SAN ALESSIO
Doquiera Alessio os oiga u os encuentre,
nunca aprobará vuestra huida.
ESPOSA
Al imitarlo, no lo ofendo;
pues en la escuela de su fuga aprendo.
Pero, ¿qué digo?
¡Ah, no contraríe yo sus deseos!
Siento que el propio Alessio,
aunque esté lejos de mí,
parece hablarme al corazón y decirme:
"Quédate con tu tormento
quédate, que no me place tu partir fugaz."
Entonces, ¿debo quedarme? ¡Ay de mí!
¡Ejemplo de acerba suerte, vilipendiada consorte!
Y sólo por no disgustarle no me voy.
Mas, aunque se queda el cuerpo,
a buscarle va el alma.
A mi vacilante pie le falta sustento.
Muero por Alessio...
Ya siento huir mi alma del pecho
y mi vida agotarse.
NODRIZA
¡Ah, ya no se sostiene y queda exangüe!
Un frío helado apaga su vigor.
Aún palpita su corazón, lánguido y lento,
y la voz del alma expresa en su rostro,
con acentos de piedad, su tormento.
MADRE
¡Oh, loco dolor mío!
Demasiado leve eres,
si no me matas.
¡Acudid presto, amigos, socorredla!
¡Devolved la luz a sus lánguidos ojos!
MARCIO
Desdichado Marzio, ¡ay, estás despedido!
¿De qué te vale haberla servido?
Si ella muere antes de testar,
ni siquiera te dejará un par de guantes.
Escena Quinta
(Alessio, perturbado por el sufrimiento de su
esposa y madre, contempla la posibilidad de
darse a conocer)
SAN ALESSIO
Alessio, ¿qué harás?
¿Serás cruel con quien,
bien lo sabes,
el cielo y el mundo quieren
que muestres piedad?
¿Qué hago? ¿Debo descubrirme o sigo escondido?
¡Ah, silencio cruel,
motivo de desabrida queja!
¡Corro a revelarlo todo!
¡Detente!
Sólo quien alcanza la última hora
con el corazón firme,
recoge el fruto de sus fatigas.
A ti, que has sufrido tanto,
¿ya no te importa la recompensa del cielo?
Tú, que para buscar a Dios huiste del mundo,
ahora, por dudoso sendero,
¿vuelves de nuevo ¡ah, loco!
tras los pasos del mundo?
¿Quién te aconseja tan mal?
¡Ah, sigue tu camino!
Pero, revive de nuevo la dolorosa piedad
grabada en el corazón y me reclama,
aunque la aleje del pensamiento.
Piedad ¡ay, deja ya de atormentar mi pecho!
¡Ah, qué batalla tan dura se libra en mi corazón!
¡Oh, Dios clemente, concédeme tu favor!
Dame la palma del martirio,
que ya no resisto tan feroz contienda.
Mi alma no es de diamante
y no soporta ver con tan amargo dolor,
a mi madre y a mi esposa.
Pero ¿quién será ése,
que con mirada serena y majestuoso semblante
viene hacia mí?
Escena Sexta
(El Demonio, disfrazado de eremita, interrumpe
los pensamientos de Alessio y con diversos
razonamientos lo tienta para que se descubra.
Alessio, más sorprendido que convencido,
piensa que el consejo del eremita puede ser
una tentación infernal y pide a Dios que no
lo abandone en tan crucial momento)
DEMONIO
Soy un humilde siervo indigno del cielo,
que desde los ocultos y yermos horrores
de lejanos declives otrora más felices,
sólo para servirte, Alessio,
vengo hasta ti.
SAN ALESSIO
¿Qué ventura,
¡oh, Dios!
de suma piedad,
desde solitarios lugares te muestra a mis ojos?
DEMONIO
Dios me manda como mensajero.
Yo te revelo, Alessio, su pensamiento.
Lleno tu corazón ardiente
de loco celo,
por buscar a Dios,
de Dios te alejas.
Sufres y te fatigas en vano.
No le agrada que abandones
a tu doliente consorte.
¿Qué rigurosa y cruel ley te enseña a engañar,
con promesas falaces,
a una noble mujer que te es fiel?
¿Qué turbia cuita nubla tu despejada mente?
Mientras tu dulce consorte sufre por ti,
tú, tirano cruel,
¿la condenes a muerte?
La tierra no lo aprueba, el cielo no lo quiere
y la naturaleza lo aborrece.
Torna, ah, torna con tu amante esposa,
lleva a tu querida madre el reposo;
preséntate ante tu progenitor doliente.
Refrena tu deseo errante
pues suele la vana constancia
tener nombre y aspecto de perfidia.
Es sabio quien, vencido su propio deseo,
cede al de los otros.
¡Créeme, vamos!... ¡Obedece!
Anhelo mis antros sombríos.
Ahora te dejo y vuelvo a los bosques.
SAN ALESSIO
Atónito y confuso
me dejan estas palabras.
No parece que el corazón me urja a obedecerlas,
temiendo que sean una ilusión del infierno,
pues a cada paso urde un nuevo engaño
el tirano de los abismos.
¡Dios mío, ayúdame!
Que tu eterna fe,
con piedad infinita,
dé socorro permanente a quien te implora.
DEMONIO
¡Ay, la poderosa mano
de un ángel soberano
descendiendo de las estrellas me rechaza!
Con su luz hiela toda mi esperanza.
Ya no me permite el cielo
que permanezca más tiempo junto a él.
Escena Séptima
(Un ángel baja volando del cielo y se aparece
a Alessio informándole que el eremita era el
Demonio y que había hecho lo correcto al
despreciar las razones que éste le daba. Así
mismo le anuncia la proximidad de su muerte y
la grandeza del premio que alcanzará en el cielo.
El ángel le exhorta a esperar el momento de la
muerte con valor y esperanza. Confortado de esta
manera, Alessio invita a venir la muerte mientras
medita profundos pensamientos)
ÁNGEL
¡Alessio, vuelve a mí tu mirada!
El que con aspecto fingido
te manda con tu esposa
es el adversario antiguo,
el implacable enemigo.
Por un camino infrecuente te llama Dios,
pues el justo
no está sujeto a las leyes comunes.
Tú debes obedecer una ley singular
y todos lo admirarán.
La palma suprema que te destina el cielo,
reconfórtate, no está lejana.
SAN ALESSIO
Reverente me inclino ante ti, ángel de luz.
Al fin llegó la hora
en que se tornará en alegría el largo tormento.
Lejos de turbias tempestades,
sobre las estrellas,
yo veré, sin ocaso, mi contento.
Te doy las gracias, ¡oh, Dios!
y compruebo que a todos
alcanza el favor del cielo, siempre oportuno.
Mas, ¿cuándo, abandonando toda miseria,
mi alma volará al cielo? ¿Cuándo?
ÁNGEL
Breve será la espera.
Ten calma y esperanza.
En la hora extrema,
no temas el trance sombrío de la muerte,
que para quien sufre, la muerte es un descanso.
SAN ALESSIO
¡Oh muerte grata,
te anhelo y te espero!
Del dolor al deleite
a caminar nos invitas.
¡Oh muerte,
oh muerte grata!
Desde la cárcel humana
sólo tú allanas
el paso a la otra vida.
¡Oh muerte dulce,
consuelo del justo!
Tú guías a puerto
la nave de las almas!
¡Oh muerte!
La otra vida,
tú abres al mundo
con gélida llave.
¡Oh, muerte dulce!
Escena Octava
(El Demonio regresa para intentar de nuevo
que Alessio caiga en la tentación antes de
expirar. Aparece Marcio quien toma al
Demonio por un eremita y comienza a burlarse
de él, al igual que hacía con Alessio. El Demonio
se enoja con Marcio pues le hace perder un
tiempo precioso)
DEMONIO
Ya, con deseo constante,
Alessio dispone su corazón para la muerte.
En esta última disputa,
que no carezca de astucia o fuerza
mi plan audaz,
pues un alma, hasta en el momento extremo,
está expuesta al peligro.
¡Ah, si al romperse el corpóreo velo,
en ese irreparable momento
del que depende una eternidad de penas,
pudiera arrebatarle al cielo
aquel que tanto he deseado!
¡Oh, qué claro triunfo! ¡Oh, qué gran gloria!
MARCIO
¿Quién será ése de la capa basta
que parece un eremita?
(Al Demonio)
¿Acaso te has perdido?
DEMONIO
En otro tiempo ¡ay de mí! me perdí.
Pero ahora sé muy bien adónde voy.
MARCIO
Para venir de tan lejos,
¿dejas tu casa abandonada y sola?
DEMONIO
Al contrario, en mi morada hay tanta gente
que parece casi infinita.
MARCIO
¿Y se vive allí con alegría?
DEMONIO
Sí, muy alegremente
¿Quién sabe, quizá te gustaría probar?
MARCIO
No me gustan esas costumbres.
Yo, que me precio de cantar siempre,
allí, en aquellos bosques umbríos y espesos,
no querría que el catarro me atacase.
DEMONIO
No te preocupes por eso,
te daré la estancia
más caliente que haya.
MARCIO
Te lo agradezco;
es demasiada cortesía.
Torna solo a tus selvas lejanas.
Y si buscas limosna, espera aquí,
te traeré un poco de pan.
DEMONIO
No tengo hambre, no; más bien tengo sed.
Y siento además un calor que me abrasa.
MARCIO
¿Y por qué no bebes?
¿No tienes vino en esa frasca?
DEMONIO
Ya basta o te arrepentirás de este juego.
MARCIO
¡Ay, me quemo!
¡Ay de mí, viejo indiscreto!
¿Por qué llevas ese fuego,
tan oculto y secreto,
que nadie puede verlo?
¿Te sirve acaso la frasca de linterna?
¡Ay de mí, me duele aún!
Puesto que merodeas
escondiendo el fuego,
tú tramas algún engaño.
¡Pero pronto serás descubierto, yo te cogeré!
¡Ay, pobre de mí, me duele todo!
Voy a cogerlo y cojo viento.
Pero no descansaré hasta que no me vengue.
¡Te agarraré tan fuerte que no escaparás!
(El Demonio, al ser apresado por Marcio,
se transforma en un oso. Marcio cae rodando
por tierra)
DEMONIO
Antes de que te castigue más,
déjame marchar o te arrepentirás.
¡Déjame, que me apremia otra faena!
MARCIO
¿Y qué podrías hacerme?
¡Detente! ¡No te vayas! ¡Ay, ay!
Escena Novena
(Aparece la Religión para asistir en el tránsito
a la otra vida a Alessio, y alabando las virtudes
del santo, anima a la humanidad a seguir su
ejemplo. La Religión atraviesa la escena volando
sobre un carro rodeado de nubes)
RELIGIÓN
Yo, de la verdadera piedad madre y reina,
veo hoy en esta costa latina
subir hasta las estrellas
mis triunfos gloriosos,
pues desde la tempestad
Alessio se eleva
hacia el reino supremo
donde se otorga a los afligidos
el consuelo eterno.
Él, cual nuevo Hércules,
ha recorrido múltiples senderos.
El mundo le vio domeñar
los monstruos más feroces,
pues triunfó sobre el Averno y Plutón.
Es justo que al fin
el cielo sea el Capitolio de su valor.
Alma peregrina
que surcas los mares falaces del mundo,
¡ah, no cambies el rumbo!
para ir tras ese placer mendaz, que es dolor.
Yo soy la única que os indica el camino a seguir.
Aquel que suspiraba sin consuelo,
al fin ve, allá entre las estrellas,
el puerto para sus olas.
Mi signo fiel disipe toda duda.
Quien puede seguir al sol,
no siga a las sombras.
No desee un gozo lábil
como el relámpago,
quien anhele poseer
la paz estable del cielo.
Las miles de penas de la tierra
no dan tregua al corazón.
Quien puede seguir al sol,
no siga a las sombras.
Escena Décima
(Mientra Eufemiano se lamenta de su desgracia
en compañía de Adrasto, se oye una voz celestial
desde el interior de la iglesia que llama a los que
sufren en este mundo. Reconfortado, comprende
que él también podría ser un día consolado por
el regreso de su hijo y que, sean cuales sean sus
sufrimientos, nunca se debe de perder la
esperanza)
ADRASTO
A veces, a quien menos se espera,
el cielo piadoso le concede su favor
compadeciéndose de sus desgracias.
EUFEMIANO
Te digo la verdad, Adrasto:
en cualquier parte siento ¡oh, sí!
privado de esperanza el pecho.
Mi alma, siempre envuelta en mil dudas,
al menos quisiera escuchar una voz
que me dijera de una vez:
"Está muerto Alessio, tu hijo está muerto."
¡Ah, loco! ¿Así razono?
¡Que viva, que viva mi hijo,
alejado de cualquier peligro!
ADRASTO
Veo que anhelante,
con festivo semblante
y pasos apresurados llega Nuncio.
Oigamos lo que nos trae.
NUNCIO
En todas sus riveras,
hoy resuena de alegría el Tíber.
Y vos aquí, apartados,
con el semblante triste.
¿Debo pensar que no sabéis
la gracia que el cielo nos concede?
ADRASTO
Dadnos, amigo, todo a conocer.
NUNCIO
Hace poco estaba reunido
todo el pueblo en el templo mayor,
cuando desde el cielo se oyó resonar,
plácida y clara, una voz diciendo:
"Vengan a mí aquellos que anhelan llevar
el peso de la fatiga en el ciego mundo;
pues yo les daré descanso."
Ante el sacro altar,
todos se quedan inmóviles
al oír con estas palabras.
Las atónitas gentes no entienden
lo que indica el cielo.
Sin embargo, todos presienten
que se trata de un hecho afortunado.
Es lícito esperar
que Roma aún pueda ser feliz.
EUFEMIANO
No abandona el cielo el alma
de quien en él confía,
al contrario, la colma de invicto fervor.
Ahora, si celestiales voces
profetizan nuestro gozo ¡oh, amigos fieles!
serenemos el corazón con alegres auspicios.
Ritornelo
Este Egeo, que es un mar agitado
por negros nubarrones y borrascas,
a veces ve resplandecer
la luz de las estrellas.
Propicio, el cielo nos socorre
cuando sopla fuerte el viento Austral.
Quien zozobre en un mar de penas,
dé vela a la esperanza.
Ritornelo
CORO DE JÓVENES
El cielo piadoso
con sones festivos
promete al mundo
un dulce descanso.
Desde un vasto nimbo,
una gracia nueva
llueve hoy sobre
el regazo de Roma.
Ritornelo instrumental
Hoy crece la fama
de estos muros,
porque están
bajo la protección
del cielo.
Con semblante agradecido,
entreguemos el pie a
a las alegres danzas.
Ritornelo
Sinfonía
ACTO III
Escena Primera
(El Demonio, habiendo utilizado en vano todas
sus artes contra Alessio, se precipita furioso en
el infierno)
DEMONIO
Mal se hace frente a un corazón firme
y mal se lucha contra Dios.
No pueden las fuerzas infernales triunfar
sobre un alma que el cielo defiende.
Esperaba lograr
la palma del triunfo con Alessio.
¿Qué no hice, qué no dije,
para conseguir como trofeo su alma?
Y ahora veo
que todas mis esperanzas las dispersa el viento.
Tornaré, pues, adonde toda luz se apaga:
al hórrido confín.
CORO DE DEMONIOS
Regresa de nuevo
a la región
donde no existe
la luz del día.
(La tierra se abre a los pies del Demonio
que desaparece en una vorágine de fuego)
DEMONIO
¡Cedo, huyo, estoy vencido!
Que Alessio goce,
pues en mi contra se vuelve la maldad.
DEMONIOS
Aquí, donde no hay lugar
para la piedad,
un trono de fuego
para ti habrá.
Escena Segunda
(Adrasto, observando que numerosas personas se
dirigen a casa de Eufemiano, se dirige también él
hacia allí, para averiguar qué sucede. Un familiar
le informa del regreso de Alessio y su posterior
fallecimiento. Adrasto entra en la sala donde se
vela a Alessio)
ADRASTO
Doquiera que miro,
en la ciudad, entre el pueblo emocionado,
me parece oír un murmullo
cuya causa no puedo entender.
CORO
Todo el Aventino resuena
de tristeza y luto.
¿Qué nos reservará hoy
el aciago destino?
NUNCIO
Huye mi pie de esta afligida casa,
porque el corazón
no soporta ver tanto dolor.
¿Acaso vienes aquí, amigo Adrasto,
porque quieres participar
del espectáculo más extraño y doloroso
que puede ser contemplado por tus ojos?
ADRASTO
Suspendida está mi alma,
envuelta en tristes dudas.
Aún no conozco, amigo, la razón de tu pesar.
¡Vamos, cuéntamelo todo!
NUNCIO
Ahora mismo; escucha.
Tras oírse el mensaje celestial que,
dejando su envoltura mortal,
al cielo llamaba
a quien por Dios se afanó,
se oyó, también en el templo,
de nuevo a la voz amiga
expresarse así:
"El techo de Eufemiano
cobija al humilde siervo predilecto de Dios."
Ante tal noticia, el pontífice Inocencio,
que lleva en su cabeza las tres coronas,
y con él, el emperador Honorio,
sobrecogido el corazón de estupor,
vinieron a esta casa y,
en una estancia mezquina
hallaron el cuerpo ya frío de un hombre
que tenía cubierto con su propia capa
el pálido semblante.
CORO
Ahora todos, atónitos y turbados,
estamos pendientes de tus palabras.
¿Y quién, al morir, era tan grato al cielo?
NUNCIO
Os contare todo. Escuchad el resto.
Su mano apretaba un papel escrito;
al abrirlo Inocencio ¡ay de mí!
muy pronto nos reveló su nombre
y nos entristeció a todos.
Era Alessio, el añorado Alessio que,
disfrazado, estuvo muchos años presente
mientras era llorado como ausente.
El corazón, impresionado
por tan inesperada noticia, perdió,
como si fuese de piedra, voz y movimiento.
Por diferentes caminos, atónitos y confusos,
al fin todos partieron
y reunidos sus parientes,
aquí permanecen con su dolor extremo.
Escena Tercera
(Los familiares de Alessio lloran amargamente
su muerte. Se lee una carta que el Santo, antes
de expirar, dejo escrita. La escena cambia y nos
muestra el jardín donde yace el cuerpo de
Alessio)
EUFEMIANO, MADRE, ESPOSA
¡Ay de mí! Sólo en una hora,
se nos devuelve y se nos arrebata.
Ciegos y míseros de nosotros:
una breve hora de tinieblas nocturnas
nos muestra lo que nos ha escondido
la luz de miles de días.
¡Pobre de nosotros! Al encontrar nuestro bien,
perdemos la esperanza de tenerlo.
ADRASTO
¡Ah, hado triste y cruel!
Tras tantos años, apenas te encuentro y te veo,
Alessio, y tú no puedes verme.
Mas no debemos lamentarnos o apenarnos por ti,
pues dejas vestigios de suma virtud,
y si mueres en el mundo, en el cielo renaces.
EUFEMIANO
Entonces ¿es verdad
que sin llegar a encontrarte,
te he perdido por dos veces?
¿Y es verdad que fuiste mío,
cuando te perdí
y ahora que te encuentro, ¡ay de mí!
ya no eres mío?
ESPOSA
¿Cuáles fueron tus pensamientos, Alessio?
¿Y con qué ojos
miraste los nuestros,
convertidos por ti en un mar de lágrimas?
MADRE
Riguroso espectador de mi profundo dolor.
Y tú, ¡ay de mí!
¿contemplaste la ruina de mi vida
con los ojos secos?
EUFEMIANO
He visto, apiadados de mis martirios,
a estos mármoles responder
a mis tristes palabras.
He visto a mis suspiros
inspirar piedad al viento.
Sólo tú, ¡oh, hijo!
cuando mi funesto dolor desató mi llanto,
sólo tú, ¡oh, hijo! cerraste los oídos a mi llanto,
mientras yo me lamentaba.
MARCIO
¡Oh, locura ciega,
que me llevaste a ultrajar
a un justo, a un inocente!
¡Cuán grave, ay de mí, fue mi culpa!
Antes de que caiga sobre mí la ira del cielo,
apiádate de mí,
y puesto que estoy arrepentido
de tu gran bondad espero el perdón.
CURCIO
Mucho, ¡ay de mí! mucho erré,
y mucho, ¡ay de mí! te ofendí.
Mas, perdona mis faltas, alma clemente,
porque un espíritu celestial
no siente ira.
EUFEMIANO, MADRE, ESPOSA
¡Oh ojos, ya que errasteis
al no conocer a la prenda amada,
llorad vuestra falta,
pues al único sostén de su estirpe
ya no podréis verlo más en esta casa!
¡Ay de mí! Sólo en una hora,
se nos devuelve y se nos arrebata.
EUFEMIANO
Papel que contienes recuerdos
siempre amargos para mi corazón,
incluso me resulta grato verte.
Y si eres capaz de reconfortar el dolor,
el oír tus palabras me consolará.
¡Vamos lee, amigo, lo que dice!
UNO DEL CORO
"A mi esposa, a mi madre, a mi progenitor.
Encontrándose Alessio
en su deseada
última hora,
resignación y paz
sinceramente
pide para vosotros."
EUFEMIANO
¿Cómo pides paz para mí,
si cuando partes, ¡oh, hijo! y cuando tornas,
con excesivo rigor la paz me niegas?
UNO DEL CORO
"Antes de cerrar los ojos
quiero dar cuenta,
en una nota breve,
de lo que he sufrido
y de los lugares
que he recorrido.
Me encaminé
a la remota sede
de Edessa
para adorar
su celestial imagen.
Después surqué el mar
hacia otras orillas.
Pero, arrastrado por el viento,
aquí fui conducido de nuevo.
Mi progenitor me acogió
en esta casa,
donde vuestros lamentos
fueron mi tormento."
EUFEMIANO
¡Oh, ejemplo auténtico de invicta firmeza!
Entre tanta miseria,
¿cómo pudiste ¡oh, hijo! ser constante?
UNO DEL CORO
"Ahora que el alma torna al cielo y reposa,
¡oh madre, oh esposa, oh progenitor!
dejad que el dolor alce el vuelo
y el corazón se reconforte,
pues yo alcanzo el puerto."
ESPOSA, MADRE, EUFEMIANO
¡Oh, llanto! ¡Oh, dolor extremo!
Cuyo rigor supera cualquier otro dolor.
No esperéis ya, de boca del difunto Alessio,
oír el relato de su corazón gimiente.
Escena Cuarta
(Los ángeles, acompañando al alma de Alessio,
persuaden a los familiares que no hay que penar
por la muerte de un santo que será recibido con
júbilo en el cielo)
CORO DE ÁNGELES
¡Cesad el llanto!
Pues ya las escuadras del cielo,
con alegres cantos,
llaman al alma de Alessio a la otra esfera,
y él alegre,
alcanzado el descanso,
lleva de estrellas la corona y de oro el manto.
¡Cesad el llanto!
EUFEMIANO
¡Oh, consorte mía! ¡Oh, hija!
Si feliz su alma,
tras tantos tormentos,
goza de corona y palma,
no empañemos con dolor su contento.
MADRE
Puesto que a cesar el llanto nos invita el cielo,
halle en mí, tregua el dolor.
ESPOSA
En su alegría, haya consuelo mi dolor.
Escena Quinta
(Sale de la casa del Santo la Religión
acompañada por la Virtud, representada
por un coro de ocho beatos que intercedieron
por Alessio ante el cielo. Mientras que el alma
de Alessio se eleva a los cielos, la Virtud y la
Religión permanecen en la tierra consagrando
un antiguo templo de Hércules al nuevo Santo.
Los coros de ángeles celebran con cánticos y
danzas la santidad de Alessio)
RELIGIÓN
¡Viva Alessio,
que muerto vivió en este mundo!
¡Viva quien, más invicto que Hércules,
derrotó poderoso a los malvados abismos!
Ahora quiero que el cuerpo de este alma noble
se lleve al templo cercano,
donde la piedad pagana
veneró los triunfos de Hércules,
para que allí los piadosos romanos
le recen sus plegarias y aguarden la gracia.
Vosotros, criados felices,
que hacéis dulce hasta el dolor,
e incluso entre las espinas
hacéis despuntar la flor de la virtud;
vosotros que hasta las estrellas
conducís al héroe entre alegres cantos,
alegrad con festivos bailes sus triunfos
y celebrad sus hazañas.
Y, pues al cielo es grato e
l llanto de Alessio,
óiganse ahora los cantos de alegría.
(Puede verse el alma del Santo en el Paraíso,
rodeado de numerosos ángeles que lo acompañan
cantando y bailando)
CORO DE ÁNGELES
Contemplad ya en el cielo
su alma bendita
y ved cómo resplandece
el reino de las alturas.
Disfrutad de los zafiros de las altas esferas,
donde el sol brilla sin cesar.
¡Anhelad el cielo!
Ballet de la Virtud
CORO DE ÁNGELES
Goza pues, alma grata,
junto a los rayos del Rey Eterno,
que en el reino de la vida
tendrá premio tu fe.
Aquí la fe perdurable,
siempre inmutable,
halla merced.
Ballet de la Virtud
CORO DE ÁNGELES
Tanto más alegre está ahora,
cuanto más sufrió antes el corazón,
que huyendo del ciego mundo
al descanso del cielo subió,
donde resplandecen luces
que hacen eterno el día.
Ballet de la Virtud
CORO DE ÁNGELES
Hoy puedes admirar
el noble trono de las estrellas
y comprobar el sitio
que se reserva a la virtud.
Por ti ahora
festejan y relucen más
las estrellas.
Ballet de la Virtud
CORO DE ÁNGELES
Afortunada Roma,
tú puedes pedir gracia
a través de él,
pues el cielo alegre
ya le tiene entre sus elegidos.
Con tus plegarias
crece su gloria
y ciñes la corona al piadoso.
¡Afortunada Roma!
Digitalizado y Traducido por:
Andrés Turrado 2011
|